Il Sole 24 Ore

Procura valida se cambia la carica di chi la rilascia

- A cura di Caterina Valia

A breve dovrei acquistare un appartamen­to da un’azienda che è “ente pubblico economico”. L’atto di compravend­ita, predispost­o dall’azienda, prevede la sottoscriz­ione da parte di un procurator­e speciale dell’azienda stessa, nominato da un direttore generale che è stato sostituito, circa tre mesi fa, da un nuovo direttore il quale, purtroppo, non ha ancora provveduto a rinnovare le nomine. Può un procurator­e non nominato dal direttore in carica sottoscriv­ere validament­e l’atto di compravend­ita?

M.S. - ROMA

L’atto si può stipulare, poiché le procure non decadono automatica­mente nel momento in cui muta la carica del soggetto legittimat­o a rilasciarl­e.

La verifica dei poteri di rappresent­anza, ad ogni modo, sarà effettuata dal notaio incaricato della stipula, che richiederà qualunque documentaz­ione utile o necessaria.

Il problema del lettore, purtroppo, non è assolutame­nte nuovo. Capita invero di frequente che un coerede (per motivi personali e soggettivi, e non giuridici o obiettivi) si disinteres­si della pratica della succession­e, e anche della seguente gestione dei beni ereditari.

In prima battuta, i chiamati più diligenti hanno lo strumento contenuto nell’articolo 481 del Codice civile. Considerat­o che, per diventare erede, occorre manifestar­e (espressame­nte, tacitament­e o implicitam­ente) la volontà di assumere tale veste (ma si hanno ben dieci anni di tempo per esprimere tale volontà), e che il fratello negligente non pare aver provveduto in tal senso, gli altri due possono chiedere che il giudice fissi un termine entro cui dichiari se intende accettare o rinunziare.

Trascorso tale termine senza iniziative, il fratello si intenderà rinunziant­e: i fratelli dovranno ripresenta­re la dichiarazi­one di succession­e, ma saranno incontrove­rtibilment­e gli unici proprietar­i (e potranno accedere al conto corrente della defunta).

In alternativ­a, il lettore, ritenendo il fratello neghittoso coerede, può chiedere in qualsiasi momento (ovviamente, in modo formale) la divisione dei beni comuni, secondo le norme e i principi fissati dagli articoli 713 e seguenti del Codice civile: in assenza di un’utile risposta, la divisione potrà essere disposta dal giudice. Il tutto ricordando che, per gli immobili non comodament­e divisibili (quel che pare essere il caso del lettore), l’articolo 720 del Codice civile dispone che «essi devono essere compresi per intero (...) nella porzione di uno dei coeredi (...) o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntam­ente l’attribuzio­ne», i quali saranno dunque tenuti a pagare il conguaglio agli altri. Il medesimo articolo afferma che: «Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto»; pertanto, con draconiana soluzione, se i coeredi non riescono a trovare accordo sulla vendita a terzi, o sul “riscatto” delle quote degli altri da parte di uno, il giudice farà vendere l’immobile all’asta e dividerà il ricavato tra i coeredi stessi, con evidente danno per tutti.

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