Procura valida se cambia la carica di chi la rilascia
A breve dovrei acquistare un appartamento da un’azienda che è “ente pubblico economico”. L’atto di compravendita, predisposto dall’azienda, prevede la sottoscrizione da parte di un procuratore speciale dell’azienda stessa, nominato da un direttore generale che è stato sostituito, circa tre mesi fa, da un nuovo direttore il quale, purtroppo, non ha ancora provveduto a rinnovare le nomine. Può un procuratore non nominato dal direttore in carica sottoscrivere validamente l’atto di compravendita?
M.S. - ROMA
L’atto si può stipulare, poiché le procure non decadono automaticamente nel momento in cui muta la carica del soggetto legittimato a rilasciarle.
La verifica dei poteri di rappresentanza, ad ogni modo, sarà effettuata dal notaio incaricato della stipula, che richiederà qualunque documentazione utile o necessaria.
Il problema del lettore, purtroppo, non è assolutamente nuovo. Capita invero di frequente che un coerede (per motivi personali e soggettivi, e non giuridici o obiettivi) si disinteressi della pratica della successione, e anche della seguente gestione dei beni ereditari.
In prima battuta, i chiamati più diligenti hanno lo strumento contenuto nell’articolo 481 del Codice civile. Considerato che, per diventare erede, occorre manifestare (espressamente, tacitamente o implicitamente) la volontà di assumere tale veste (ma si hanno ben dieci anni di tempo per esprimere tale volontà), e che il fratello negligente non pare aver provveduto in tal senso, gli altri due possono chiedere che il giudice fissi un termine entro cui dichiari se intende accettare o rinunziare.
Trascorso tale termine senza iniziative, il fratello si intenderà rinunziante: i fratelli dovranno ripresentare la dichiarazione di successione, ma saranno incontrovertibilmente gli unici proprietari (e potranno accedere al conto corrente della defunta).
In alternativa, il lettore, ritenendo il fratello neghittoso coerede, può chiedere in qualsiasi momento (ovviamente, in modo formale) la divisione dei beni comuni, secondo le norme e i principi fissati dagli articoli 713 e seguenti del Codice civile: in assenza di un’utile risposta, la divisione potrà essere disposta dal giudice. Il tutto ricordando che, per gli immobili non comodamente divisibili (quel che pare essere il caso del lettore), l’articolo 720 del Codice civile dispone che «essi devono essere compresi per intero (...) nella porzione di uno dei coeredi (...) o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione», i quali saranno dunque tenuti a pagare il conguaglio agli altri. Il medesimo articolo afferma che: «Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto»; pertanto, con draconiana soluzione, se i coeredi non riescono a trovare accordo sulla vendita a terzi, o sul “riscatto” delle quote degli altri da parte di uno, il giudice farà vendere l’immobile all’asta e dividerà il ricavato tra i coeredi stessi, con evidente danno per tutti.