Clausola Iva «frena-deficit» da 30 miliardi in due anni
Senza questa «garanzia» disavanzo al 2,8% nel 2020 e al 2,6% a fine triennio
Il programma di finanza pubblica presentato dal governo poggia anche su circa 30 miliardi di clausole Iva fra 2020 e 2021. Senza questo gancio, il deficit nominale salirebbe verso il 2,8% nel 2020 e si attesterebbe al 2,6% l’anno successivo. La stessa dinamica sarebbe seguita dal saldo strutturale, cioè il risultato che viene messo sotto esame a Bruxelles dopo aver “pulito” i conti dalle una tantum e dagli effetti del ciclo economico. Invece di rimanere piatto all’1,7% nel triennio, come indicato dal governo, andrebbe al 2,4% nel 2020 per raggiungere quota 2,5% nel 2021.
A rendere possibili i calcoli definitivi sulla sterilizzazione degli aumenti Iva, totale per l’anno prossimo e parziale per i due successivi, è una tabella portata ieri mattina da Tria all’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. La tabella indica per ogni anno il peso delle principali misure in arrivo, fra cui campeggia appunto il blocco agli aumenti Iva. La mossa vale 7 decimi di Pil l’anno prossimo, e quindi cancella in toto i 12,4 miliardi di aumenti ereditati dall’ultima manovra. Ma si alleggerisce a tre decimali (5,6 miliardi circa) nel 2020 e a 2 decimali (3,8 miliardi) l’anno successivo. Ma il programma confermato dal Def di aprile targato Gentiloni-Padoan, oltre ai 12,4 miliardi per il 2019, metteva in calendario aumenti per 19,1 miliardi nel 2020 e per 19,6 nell’anno successivo. Risultato: anche dopo la manovra resterebbero clausole da circa 13,5 miliardi per il secondo anno del triennio e da 16 per quello successivo.
Questa inevitabile girandola di cifre non basta però a spiegare del tutto il ruolo inedito che le clausole residue giocano nel nuovo quadro di finanza pubblica. Nate nel 2011 con le manovre estive BerlusconiTremonti, sterilizzate da Monti e riprese da Letta, che le fece scattare in parte prima che Renzi le rimettesse in campo bloccandole poi di anno in anno, le clausole Iva sono servite per mettere in programma ambiziosi tagli di deficit; poi destinati a essere molto ammorbiditi dal confronto annuale con Bruxelles sulla “flessibilità”. Ora invece le clausole servono a evitare un aumento del disavanzo, nominale e strutturale, che moltiplicherebbe le incognite sui mercati e le obiezioni di Bruxelles.
La NaDef in discussione alla Camera, però, ne promette l’eliminazione l’anno prossimo, quando il programma di stabilità 2019 dovrà definire gli «interventi di revisione della spesa corrente e di miglioramento della riscossione delle imposte» chiamati a sostituirle. Chiudendo così un derby che fin dal 2011 contrappone le clausole Iva ai tagli alle spese, fiscali e non.