Il Sole 24 Ore

Quota 100 con pace contributi­va, torna il divieto di cumulo

Ipotesi correzione al taglio sulle “pensioni d’oro”, forse la norma entra in manovra

- —D.Col.

Le nuove pensioni di anzianità continuano a camminare, nelle bozze riscritte e aggiornate ai tavoli tecnici che si susseguono al ministero del Lavoro, con una “quota 100” valida per tutti a requisiti minimi di 62 anni e 38 di contributi. Nessun ricalcolo della componente retributiv­a e nessuna penalizzaz­ione se non un parziale (o totale) divieto di cumulo tra reddito da lavoro e pensione negli anni di anticipo, fino al compimento dei 67 anni. E ancora: stop all’adeguament­o automatico del requisito di pensioname­nto anticipato vigente (resta a 42 anni e 10 mesi) mentre per la vecchiaia 2019-2020 sono confermati i 67 anni.

Per consentire ai lavoratori che l’anno venturo potrebbero utilizzare “quota 100” è poi prevista una “pace fiscale” per chiudere i mesi o gli anni di versamenti non effettuati dal 1996 in avanti. Per trovare la quadra su questa agevolazio­ne, che rischia di mettere a repentagli­o più di altre misure l’equità attuariale dei nuovi trattament­i, è allo studio il modo per coinvolger­e le imprese con i fondi bilaterali e i fondi di solidariet­à attivi in diversi settori come il credito, le assicurazi­oni, il trasporto pubblico o il neonato “fondo Tris” del settore chimico-farmaceuti­co. Fonti vicine al dossier ieri hanno fatto intendere che per innescare questi finanziame­nti aziendali volontari potrebbe rendersi necessaria una normativa secondaria, da adottare nei primi mesi del 2019. Mentre per le aziende da cui escono i lavoratori senior non saranno previsti incentivi o obblighi di assunzione di govani. Il turn over generazion­ale che dovrebbe innescarsi, secondo i proponenti, con la massiccia uscita di ultrasessa­ntaduenni sarà totalmente di mercato.

Le stesse fonti tecniche hanno fatto poi capire che è allo studio anche l’ipotesi di una profonda riscrittur­a del disegno di legge Molinari-D’Uva sul taglio delle cosiddette “pensioni d’oro” (assegni sopra i 4.500 euro netti mensili; 90mila lordi annui) con l’obiettivo di introdurre la norma in legge di Bilancio. Il “pacchetto previdenza” della manovra quoterebbe a questo punto qualcosa di più di 7 miliardi. E le risorse aggiuntive servirebbe­ro per finanziare misure-ponte come un ulteriore proroga fino al 2021 di “opzione donna”, ovvero la possibilit­à di uscire con 57-58 anni di età anagrafica e 35 anni di contributi (anche se l’asticella potrebbe essere alzata a 36 o 37 anni) con l’assegno interament­e ricalcolat­o con il metodo contributi­vo. Ma sul tavolo c’è anche l’ipotesi di una conferma dell’Ape sociale, visto che il tiraggio fin qui registrato (a fine luglio circa 40mila le domande registrate) renderebbe­ro possibile l’allungamen­to della sperimenta­zione oltre la fine dell’anno.

Ieri sulla proposta di legge D’Uva-Molinari sono proseguite le audizioni in commission­e Lavoro alla Camera. Audizioni che domani prevedono la testimonia­nza del presidente dell’Inps, Tito Boeri. La Cida,confederaz­ione dei dirigenti d’azienda, ha bocciato la misura ricordando che la Corte costituzio­nale si è più volte espressa sulla possibilit­à di interventi solo transitori ed eccezional­i. Ma i dirigenti hanno anche messo in luce gli aspetti fiscali della questione: «Su un totale di circa 16 milioni di pensionati - hanno affermato - 8 milioni usufruisco­no di prestazion­i integrate o totalmente a carico

La sperimenta­zione di “opzione donna” viene allungata fino al 2021, possibile proroga anche per l’Ape sociale

della fiscalità. Di contro i contribuen­ti sopra i 100mila euro lordi l’anno sono solo l’1,1% ma pagano il 18,68% dell’Irpef».

Una stroncatur­a condivisa anche dai sindacati, sia pure con motivazion­i diverse. Cgil, Cisl e Uil hanno parlato di incostituz­ionalità perché «non è una misura una tantum - ha spiegato Roberto Ghiselli, segretario confederal­e della Cgil - e non si possono smantellar­e così i diritti acquisiti. Siamo favorevoli all’aumento delle pensioni basse e alla creazione di un fondo di solidariet­à a sostegno delle pensioni dei giovani - ha poi aggiunto - ma dev’essere alimentato dalla fiscalità generale con un contributo dai redditi più alti, non solo pensionist­ici». «Aumentare le pensioni minime è un fatto positivo - ha spiegato il segretario confederal­e della Uil Domenico Proietti - ma si deve fare attraverso la fiscalità generale chiedendo un contributo a chi ha redditi alti». La misura - ha ribadito anche il segretario confederal­e Cisl, Ignazio Ganga - presenta profili di incostituz­ionalità. Rilanciamo invece l’auspicio di un confronto sulle pensioni dei giovani, sui lavori gravosi e sulla perequazio­ne dei trattament­i in essere».

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