Cofinanziamento ai fondi Ue, il Governo può recuperare fino a quattro miliardi di euro
Molise e Sicilia chiedono alla Commissione di ridurre i contributi
Dal nostro inviato Per ora solo la Sicilia e il Molise hanno confermato l’intenzione di chiedere alla Commissione Ue la riduzione del cofinanziamento nazionale dei programmi operativi (Por) 2014-2020, dando seguito all’iniziativa del Dipartimento Politiche di Coesione della Presidenza del Consiglio che a metà settembre ha chiesto alla Commissione l’autorizzazione a sfruttare questa opportunità prevista dai regolamenti comunitari. Campania, Puglia e Calabria non hanno ancora deciso ma è elevata la probabilità che non aderiscano alla proposta. Anche perché siamo ormai a pochi giorni dalla scadenza del 15 ottobre concordata dalla ministra per il Sud Barbara Lezzi con la commissaria Ue alle Politiche regionali, Corina Cretu, e non è stata attivata la necessaria procedura formale per fare la richiesta a Bruxelles.
È invece determinato il presidente del Molise, Donato Toma. «Per noi è fondamentale – ha detto a Bruxelles in occasione della plenaria del Comitato delle Regioni, aperta dal presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani – e abbiamo dato pieno sostegno all’iniziativa della ministra Lezzi. Siamo indietro con la spesa e non possiamo permetterci di perdere neanche un euro». Ma proprio questo è il punto: soprattutto le regioni più grandi temono di avere molto da perdere e sono orientate a dire no, Sicilia a parte che però ha accumulato un ritardo rilevante nella spesa e dunque non ha scelta. Secondo un’elaborazione dei dati su alcuni dei 51 programmi operativi, il “risparmio” potenziale per il Governo centrale potrebbe superare i 4 miliardi di euro. Un Por come quello pugliese, per esempio, vedrebbe circa 2,7 miliardi di euro dirottati nel Poc (Programma operativo complementare) proposto dal Dipartimento e sganciato dalle regole europee. Per altre regioni, come la Campania, la riduzione de cofinanziamento nazionale è più contenuto, nell’ordine di alcune centinaia di milioni, come per la Calabria. In sostanza, il timore, come a taccuini chiusi dicono in molti, è che queste risorse non tornino sui territori, come ha chiesto la Commissione, ma che una volta sganciati dai fondi europei vengano dirottati in varie forme su altri obiettivi, per esempio le riforme previste dal Governo, a cominciare dal reddito di cittadinanza e dalla Flat tax. «Mi fido delle persone che ho guardato negli occhi, il ministro Lezzi e il dottor Ferrara (capo del Dipartimento, ndr.) ha detto il governatore del Molise ma se queste risorse non dovessero tornare sul territorio, giuro che porto 300mila molisani a Roma davanti alla sede dell’Agenzia…».
Non si sa nulla della Sardegna, così come non è stato possibile verificare come si stanno muovendo i Pon dei ministeri e dell’Agenzia per la Coesione che hanno qualche motivo in più per aderire alla proposta-richiesta del governo. L’obiettivo dichiarato è abbassare l’importo complessivo dei programmi e dunque anche i target di spesa di metà periodo ed evitare il disimpegno automatico. A fine anno, infatti, scatta la cosiddetta regola N+3 che impone il raggiungimento di determinati obiettivi di spesa certificata. I programmi che non riusciranno a raggiungere questi obiettivi dovranno rinunciare alla quota di fondi europei non spesi che saranno destinati ad altre voci del bilancio comunitario. Non tutte le regioni hanno la necessità di abbassare i target di fine anno, anche perchè alcune, anche al Sud, hanno avviato un percorso virtuoso. È il caso della Puglia che nei giorni scorsi la Cretu, in visita a Bari, ha indicato come modello nella gestione dei fondi strutturali. E anche la Calabria si è staccata da tempo dalla scomoda posizione di fanalino di coda, come ha confermato ad agosto la Lezzi. Più complesso è il caso della Campania, che però ha in pista alcuni progetti di importo rilevante, come l’acquisto di treni per le ferrovie locali, che sono prossimi alla chiusura e quindi rendicontabili nei tempi previsti.
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