LA GRANDE CRISI E I PUNTI DEBOLI PER NON RICADERCI
Sono trascorsi dieci anni dal crollo di Lehman Brothers. Le misure poco ortodosse attuate dalle banche centrali per spegnere l’incendio della crisi finanziaria globale hanno in realtà lasciato un terreno ancora ardente e gettato un’ombra sulla ripresa economica globale. I prezzi degli asset potranno anche aver raggiunto i massimi storici, ma la fiducia rimane fragile: il timore di una nuova crisi globale dietro l’angolo rende gli investitori più diffidenti, come si è visto nel caso delle crisi valutarie in Turchia e in Argentina. Solo cercando di comprendere dove si celano le vulnerabilità dell’attuale sistema economico, possiamo sperare di proteggerci dalla prossima crisi.
Nell’ultimo decennio, i mercati finanziari e le banche centrali si sono stretti in un abbraccio, che, in realtà, si è rivelato sempre più una camicia di forza. Quando le banche centrali hanno tagliato i tassi d’interesse ed introdotto i programmi di acquisto di bond, i mercati hanno accolto con favore queste mosse, che hanno contribuito a ricostruire la fiducia dei diversi attori, con una conseguente ripresa dei prezzi degli asset. Per alcuni, tuttavia, quella che doveva essere una misura temporanea, si è protratta eccessivamente nel tempo, con conseguenze nefaste. La portata degli interventi di politica monetaria è stata così colossale che oggi le quattro principali banche centrali detengono circa $20 mila miliardi di asset nei loro bilanci. I critici del programma di acquisti concordano, in parte giustamente, sul fatto che quest’ultimo abbia gonfiato eccessivamente i prezzi degli asset e sono preoccupati che le banche centrali possano destabilizzare i mercati nel tentativo di ridurre i loro bilanci.
Tuttavia, è un abbraccio da cui bisogna pur sciogliersi. Le banche centrali devono essere in grado di alzare i tassi d’interesse e di ridurre i loro bilanci, altrimenti si ritroveranno senza cartucce per combattere una futura crisi globale. I mercati finanziari hanno compreso questa vulnerabilità e stanno lottando per disabituarsi a questo periodo prolungato di tassi a livelli minimi, mentre si sono abituati a considerare le banche centrali una difesa quando il gioco si fa duro.
Nessuna crisi è uguale ad un’altra, ma tutte piantano le radici nelle vulnerabilità esistenti del sistema economico, politico e finanziario. Nell’attuale contesto di ripresa, i livelli record di debito, alimentati da un decennio di bassi tassi d’interesse, sono diventati la preoccupazione maggiore. L’attenzione del mercato si focalizza soprattutto sull’aumento del debito corporate dei mercati emergenti, specialmente in Cina che è il Paese che ad oggi ha uno dei più alti rapporti di debito corporate/Pil. Ed è qui che, per molti investitori, si trova la linea di confine. Con l’aumento del dollaro Usa, i mercati emergenti hanno subito un sell off per via delle società domestiche che hanno difficoltà a far fronte ai prestiti denominati in dollari Usa.
I mercati emergenti, tuttavia, non sono nella stessa posizione di 10 anni fa, per diverse ragioni. Anche se c’è un ammontare considerevole di debito denominato in dollari Usa tra le società dei mercati emergenti, il divario tra entrate e prestiti è oggi meno accentuato. Inoltre, la composizione dei mercati emergenti per settore è cambiata in modo abbastanza marcato, con l’IT che conta oggi per una fetta più ampia dell'universo azionario, mentre il settore delle commodity e dei materiali hanno oggi quote minori. Di conseguenza, i mercati emergenti si trovano in una posizione più favorevole per fronteggiare un calo dei prezzi delle materie prime che generalmente accompagna un rallentamento a livello globale. Infine, abbiamo assistito ad un netto miglioramento nella gestione del capitale e nell'allineamento con gli azionisti di minoranza da parte delle aziende, che si è riflesso in un numero maggiore di società che oggi pagano dividendi ai propri azionisti, rispetto a dieci anni fa.
A questi aspetti positivi, i più scettici potrebbero opporsi puntando il dito sulle crisi in Turchia ed in Argentina come fattori scatenanti di un effetto contagio a livello globale. Ad oggi, non è stato così. Quando si cerca di prevedere la prossima crisi economica sarebbe bene considerare le sagge parole di Mark Twain (forse erroneamente attribuitegli), secondo cui “la storia non si ripete, ma fa rima con se stessa”. E sì, ci saranno future crisi globali, ma probabilmente la colpa non sarà delle banche. Queste ultime hanno, di fatti, migliorato il loro business negli ultimi dieci anni. Vi sono nuove sfide e nuovi rischi che le sostituiranno. Ad oggi, non abbiamo ancora visto un vero miglioramento della capacità delle persone di comprendere la connessione tra finanza ed economia reale. Nel 2008, la Regina Elisabetta II in visita alla London School of Economics chiese perché nessuno avesse previsto la crisi finanziaria. Se dovessimo assistere ad un’altra crisi globale, temo che la Regina si ritroverebbe a fare, di nuovo, la stessa domanda.
Vice Chairmandi Jupiter Asset Management