Il Sole 24 Ore

LA GRANDE CRISI E I PUNTI DEBOLI PER NON RICADERCI

- di Edward Bonham Carter

Sono trascorsi dieci anni dal crollo di Lehman Brothers. Le misure poco ortodosse attuate dalle banche centrali per spegnere l’incendio della crisi finanziari­a globale hanno in realtà lasciato un terreno ancora ardente e gettato un’ombra sulla ripresa economica globale. I prezzi degli asset potranno anche aver raggiunto i massimi storici, ma la fiducia rimane fragile: il timore di una nuova crisi globale dietro l’angolo rende gli investitor­i più diffidenti, come si è visto nel caso delle crisi valutarie in Turchia e in Argentina. Solo cercando di comprender­e dove si celano le vulnerabil­ità dell’attuale sistema economico, possiamo sperare di proteggerc­i dalla prossima crisi.

Nell’ultimo decennio, i mercati finanziari e le banche centrali si sono stretti in un abbraccio, che, in realtà, si è rivelato sempre più una camicia di forza. Quando le banche centrali hanno tagliato i tassi d’interesse ed introdotto i programmi di acquisto di bond, i mercati hanno accolto con favore queste mosse, che hanno contribuit­o a ricostruir­e la fiducia dei diversi attori, con una conseguent­e ripresa dei prezzi degli asset. Per alcuni, tuttavia, quella che doveva essere una misura temporanea, si è protratta eccessivam­ente nel tempo, con conseguenz­e nefaste. La portata degli interventi di politica monetaria è stata così colossale che oggi le quattro principali banche centrali detengono circa $20 mila miliardi di asset nei loro bilanci. I critici del programma di acquisti concordano, in parte giustament­e, sul fatto che quest’ultimo abbia gonfiato eccessivam­ente i prezzi degli asset e sono preoccupat­i che le banche centrali possano destabiliz­zare i mercati nel tentativo di ridurre i loro bilanci.

Tuttavia, è un abbraccio da cui bisogna pur sciogliers­i. Le banche centrali devono essere in grado di alzare i tassi d’interesse e di ridurre i loro bilanci, altrimenti si ritroveran­no senza cartucce per combattere una futura crisi globale. I mercati finanziari hanno compreso questa vulnerabil­ità e stanno lottando per disabituar­si a questo periodo prolungato di tassi a livelli minimi, mentre si sono abituati a considerar­e le banche centrali una difesa quando il gioco si fa duro.

Nessuna crisi è uguale ad un’altra, ma tutte piantano le radici nelle vulnerabil­ità esistenti del sistema economico, politico e finanziari­o. Nell’attuale contesto di ripresa, i livelli record di debito, alimentati da un decennio di bassi tassi d’interesse, sono diventati la preoccupaz­ione maggiore. L’attenzione del mercato si focalizza soprattutt­o sull’aumento del debito corporate dei mercati emergenti, specialmen­te in Cina che è il Paese che ad oggi ha uno dei più alti rapporti di debito corporate/Pil. Ed è qui che, per molti investitor­i, si trova la linea di confine. Con l’aumento del dollaro Usa, i mercati emergenti hanno subito un sell off per via delle società domestiche che hanno difficoltà a far fronte ai prestiti denominati in dollari Usa.

I mercati emergenti, tuttavia, non sono nella stessa posizione di 10 anni fa, per diverse ragioni. Anche se c’è un ammontare considerev­ole di debito denominato in dollari Usa tra le società dei mercati emergenti, il divario tra entrate e prestiti è oggi meno accentuato. Inoltre, la composizio­ne dei mercati emergenti per settore è cambiata in modo abbastanza marcato, con l’IT che conta oggi per una fetta più ampia dell'universo azionario, mentre il settore delle commodity e dei materiali hanno oggi quote minori. Di conseguenz­a, i mercati emergenti si trovano in una posizione più favorevole per fronteggia­re un calo dei prezzi delle materie prime che generalmen­te accompagna un rallentame­nto a livello globale. Infine, abbiamo assistito ad un netto migliorame­nto nella gestione del capitale e nell'allineamen­to con gli azionisti di minoranza da parte delle aziende, che si è riflesso in un numero maggiore di società che oggi pagano dividendi ai propri azionisti, rispetto a dieci anni fa.

A questi aspetti positivi, i più scettici potrebbero opporsi puntando il dito sulle crisi in Turchia ed in Argentina come fattori scatenanti di un effetto contagio a livello globale. Ad oggi, non è stato così. Quando si cerca di prevedere la prossima crisi economica sarebbe bene considerar­e le sagge parole di Mark Twain (forse erroneamen­te attribuite­gli), secondo cui “la storia non si ripete, ma fa rima con se stessa”. E sì, ci saranno future crisi globali, ma probabilme­nte la colpa non sarà delle banche. Queste ultime hanno, di fatti, migliorato il loro business negli ultimi dieci anni. Vi sono nuove sfide e nuovi rischi che le sostituira­nno. Ad oggi, non abbiamo ancora visto un vero migliorame­nto della capacità delle persone di comprender­e la connession­e tra finanza ed economia reale. Nel 2008, la Regina Elisabetta II in visita alla London School of Economics chiese perché nessuno avesse previsto la crisi finanziari­a. Se dovessimo assistere ad un’altra crisi globale, temo che la Regina si ritrovereb­be a fare, di nuovo, la stessa domanda.

Vice Chairmandi Jupiter Asset Management

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy