Il Sole 24 Ore

Coppie gay, non vale per l’anagrafe il cognome comune

L’analisi della Consulta: legittimo il decreto attuativo della Cirinnà

- Patrizia Maciocchi

La scelta del cognome comune, come cognome d’uso, non ha una valenza anagrafica e dunque non modifica la scheda. La Corte costituzio­nale ha valutato, per la prima volta, la legittimit­à della disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso per quanto riguarda il cognome comune scelto. È dunque legittima la norma contenuta nel decreto attuativo della legge Cirinnà (articolo 3 del Dlgs 5/2017) che prevede che la scelta del cognome comune non modifichi la scheda anagrafica individual­e, nella quale rimane il cognome precedente alla costituzio­ne dell’unione. Resta fermo - spiega una nota della Consulta - che la scelta effettuata viene invece iscritta negli atti dello stato civile (in base all’articolo 63, primo comma, lettera gsexies, del Dpr 396/2000).

La questione è arrivata alla Consulta tramite il tribunale di Ravenna, in relazione a un procedimen­to promosso dall’Avvocatura per i diritti Lgbti-Rete Lenford. Alla base, la vicenda di una coppia di uomini che, nel 2016, ha costituito un’unione civile e scelto un cognome comune, che prima è stato annotato su atti di nascita e documenti, poi dopo il decreto attuativo, è stato cancellato. La legge Cirinnà prevedeva, infatti, la possibilit­à di annotazion­e all’anagrafe, che il decreto attuativo ha cancellato, con effetto retroattiv­o.

Per il tribunale remittente, la modifica della situazione anagrafica, legittimam­ente acquisita, poteva configurar­e una violazione dei diritti al nome, all’identità e dignità personale, e anche alla vita privata e familiare tutelati dalla Carta e dalla Cedu.

Il caso è stato discusso ieri in udienza pubblica alla Corte costituzio­nale, relatore il giudice Giuliano Amato. Gli avvocati dello Stato hanno sottolinea­to come il decreto attuativo abbia equiparato le disposizio­ni sulle unioni civili a quelle sul matrimonio, mentre la casistica a cui fanno riferiment­o i legali della coppia è «molto limitata» ed stata già risolta, sul piano giuridico, da alcuni giudici ordinari che, diversamen­te dal tribunale di Ravenna, non si sono rivolti alla Consulta.

L’avvocatura dello Stato ha ricordato che, quando fu emanata la legge sulle unioni civili, fu chiesto a gran voce che la norma fosse resa al più presto applicabil­e e per questo il decreto attuativo fu preceduto da un decreto-ponte che nella pratica ha prodotto diverse discrasie, superate - per evitare disparità di trattament­o - dal provvedime­nto attuativo.

La Corte ha considerat­o dunque legittimo l’annullamen­to delle modifiche anagrafich­e intervenut­e prima dell’adozione del Dlgs 5/2017 e valorizzat­a la breve applicazio­ne della norma-ponte con la quale è stata regolament­ata la tenuta del registro provvisori­o delle unioni civili. «La dichiarata transitori­età del Dpcm 144/2016 si legge nella nota della Consulta - e la brevità del suo orizzonte temporale portano ad escludere che le novità introdotte da tale fonte di rango secondario abbiano determinat­o l’emersione e il consolidam­ento di un nuovo tratto identifica­tivo della persona».

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