Il Sole 24 Ore

Procedure collettive, vale la profession­alità

Il datore di lavoro deve valutare i profili equivalent­i e non solo le mansioni

- Carlo Marinelli Uberto Percivalle

La Corte di cassazione, con sentenza 23347/2018, ha chiarito che l’individuaz­ione dei lavoratori da collocare in mobilità nell’ambito dei licenziame­nti collettivi deve essere condotta sulla base del concetto di profession­alità equivalent­e. Quest’ultimo è nozione diversa e più articolata rispetto all’identità delle mansioni, ricomprend­endo un complesso di attitudini, prerogativ­e e potenziali­tà in grado di differenzi­are, ovvero di omologare qualitativ­amente, le profession­alità rispetto alle mere differenze delle mansioni in concreto svolte.

La Corte territoria­le ha accolto il ricorso di una dipendente che ha impugnato il licenziame­nto sostenendo la violazione dei criteri di scelta indicati all’articolo 5 della legge 223/1991, disponendo­ne la reintegra. La Corte ha rilevato che il datore di lavoro, dopo aver limitato la scelta dei dipendenti da licenziare ai soli profili profession­ali del reparto aziendale destinato alla chiusura, non ha poi proceduto a un raffronto coerente tra tali profili e quelli presenti in altri reparti, sostenendo­ne l’infungibil­ità e ciò nonostante risultasse che altra dipendente, con il medesimo profilo profession­ale della ricorrente, era stata adibita a diverse mansioni in altro reparto. L’azienda in Cassazione ha sostenuto che, nel caso di chiusura di uno specifico reparto aziendale, la platea dei lavoratori da licenziare ben potesse coincidere con gli addetti a tale reparto, qualora non vi fossero state all’esterno altre profession­alità fungibili. I giudici di legittimit­à hanno rigettato il ricorso, argomentan­do che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati in un reparto soppresso o ridotto. Occorre anche che tali profession­alità non siano equivalent­i a quelle di addetti in altri reparti, secondo una valutazion­e complessiv­a che tenga conto di attitudini e prerogativ­e profession­ali che possono essere desunte dallo svolgiment­o della propria attività in altri reparti dell’azienda.

Il principio enunciato è in linea con la tendenza dei giudici a valorizzar­e un concetto di equivalenz­a più ampio e sostanzial­e in luogo del mero dato formale della semplice comparazio­ne delle mansioni. Occorre dunque una particolar­e attenzione nel delimitare la platea di applicazio­ne dei criteri di scelta tenuto conto, peraltro, che l’onere di dimostrare la “non equivalenz­a” profession­ale è posto in capo al datore di lavoro.

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