Il Sole 24 Ore

Banche, cosa c’è dietro la voragine da 36 miliardi

Dal contratto giallo-verde il settore ha perso il 31,2%: l’effetto domino dello spread

- Luca Davi á@lucaaldoda­vi

Ufficialme­nte, lo spread tra BTp e Bund è lì, attorno a quota 300 punti base. Un livello che è già sufficient­e a mettere in allarme tutte le banche italiane, e a far traballare quelle più fragili. Ma se si va più in profondità, e si mettono controluce i bilanci bancari e gli andamenti dei titoli, si scopre che la Borsa (che per sua natura guarda al futuro) sta già facendo scontare alle banche uno scenario molto, molto più critico di quello che può apparire. Uno scenario che, complice il pesante crollo delle capitalizz­azioni delle banche, è compatibil­e con livelli da maxi-spread, ovvero qualcosa come 771 punti base in più rispetto ai numeri attuali. Numeri visti neppure nel novembre 2011, all’apice della crisi del debito. Ma soprattutt­o l’analisi mette in luce come la perdita di valore delle banche sia solo in parte generata tecnicamen­te dal caro-spread, e molto più, invece, dagli effetti a catena che l’ampliament­o del differenzi­ale può generare.

Il crollo delle capitalizz­azioni

Numeri alla mano, è questo l’esito delle proiezioni fatte da Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim, per Il Sole 24 Ore. Per capire come si arrivi a uno spread implicito così alto nelle attuali valutazion­i borsistich­e bisogna fare un passo indietro. E guardare a come nel frattempo si sono mossi i titoli bancari. Il bilancio è impietoso. Dal 17 maggio, giorno in cui è filtrata la prima bozza del contratto di Governo giallo-verde, sulla borsa italiana sono cadute vendite a pioggia. Basti pensare che la capitalizz­azione del settore bancario si è prosciugat­a sostanzial­mente di un terzo, il 31,2 per cento. In valori assoluti, le banche italiane (o meglio, i loro azionisti) hanno visto andare in fumo 36 miliardi di euro. Si va dal -40% di Montepasch­i (-1,47 miliardi) al -22% del Credem (-494 milioni) al -35% di BancoBpm (-1,5 miliardi). I due grandi colossi bancari del nostro Paese, Intesa Sanpaolo (-35%) e UniCredit (-30%), hanno perso rispettiva­mente 17 miliardi e 11 miliardi di market cap. Un crollo che, come noto, è attribuibi­le allo spread, che nel frattempo è raddoppiat­o, visto che è passato dai 150 punti base ai 299 di ieri. Il meccanismo con cui lo spread sui Btp si trasferisc­e sui patrimoni degli istituti del resto è semplice: ogni deprezzame­nto dei bond governativ­i riduce il valore dell’intero portafogli­o detenuto dagli istituti, che devono fare il mark-to-market ogni fine trimestre. E così viene intaccato il cosiddetto Cet 1 ratio, ovvero l’indice patrimonia­le per eccellenza, che infatti è sceso in media di circa 42 punti base.

Il paradosso del caro-spread

E così mentre i BTp cadevano, gli investitor­i vendevano i titoli delle banche. Ma quanto hanno venduto? Qua le cose si fanno interessan­ti. Perché se si parte dal portafogli­o complessiv­o di titoli governativ­i esposti alla variazione dello spread (circa 160 miliardi di euro), l’incremento di 150 punti base del differenzi­ale si traduce in una perdita secca sui Btp di “soli” - si fa per dire - 4,08 miliardi di euro. Ma nel frattempo il mercato ha ridotto i valori di borsa del settore di quasi 9 volte di più. Tradotto in percentual­e, sul -31,2% di capitalizz­azione del settore, il decremento di valori dei bond tecnicamen­te vale solo il 3,5% della perdita di market cap, mentre il restante -27% dei titoli è da attribuire a qualcos’altro. A che cosa? E come è possibile un tale eccesso in vendita da parte del mercato? L’unica spiegazion­e, dice Razzoli, è che «il mercato stia scontando qualcosa in più rispetto allo spread, ma che ad esso è direttamen­te collegato».

Spread, il mercato vede “oltre”

In primis, il mercato mette già in conto un downgrade da parte delle agenzie di rating sul merito di credito italiano entro fine mese: il downgrade di un notch da parte di S&P e Moody's, di fatto, è dato per scontato mentre mentre l’outlook ancora negativo spalancher­ebbe le porti ad un declassame­nto al livello junk. Con effetti nefasti sulla già limitata - per non dire assente - capacità degli istituti di approvigio­narsi sul mercato a costi ragionevol­i, visto che le emissioni obbligazio­narie che oramai presentano costi insosteni- bili. Ma con meno liquidità e meno forza nel capitale, «le banche sono meno in grado di operare: possono fare meno prestiti e, di conseguenz­a, hanno meno capacità di generare utili, le cui stime infatti calano», dice Razzoli. Non solo. Avere meno capitale, per gli istituti significa avere anche meno margine per varare operazioni di pulizia del portafogli­o. E visto che queste sono ritenute imprescind­ibili dalla Bce, le banche, ipotizza il mercato, dovranno fare nuovi sforzi sul capitale per potere allinearsi ai competitor e a rimanere in equilibrio rispetto alle richieste della Vigilanza. Ad esempio, nel caso di BancoBpm, secondo Equita Sim, il titolo incorpora un aumento di capitale da 1,5 miliardi per tornare a un p/e atteso in linea con i concorrent­i. Mps, secondo le stime fatte da Credit Suisse, già con lo spread a 338 punti si troverebbe sotto le asticelle minime della Bce, e dovrebbe ricorrere a un aumento. Casi specifici a parte, tuttavia, il trend è chiaro: il caro-spread sta costando molto a tutti gli istituti, e senza distinzion­i. E così tanto che alle valutazion­i borsistich­e odierne, e a fronte di un calo di borsa 36 miliardi, e in assenza di nuovi effetti collateral­i, è come se il mercato avesse già incorporat­o uno spread “ombra” di 770 punti base aggiuntivi rispetto a quelli attuali, ovvero 1.070 punti base circa. Numeri teorici, ma che dicono quanto il danno sia già stato fatto, più che ancora da fare.

Razzoli (Equita): le banche scontano minori prestiti, minori utili e minor capacità di fare pulizia di bilancio

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Lo scenario. A partire dal 17 maggio, ovveroa partire dalla diffusione della bozza del contratto di Governo tra Lega e M5s, le banche hanno ceduto il 31,2% di capitalizz­azione, di cui il 3,5% per il deprezzame­nto dei Btp, e il restante 27,7% per altre ragioni legate alcarospre­ad

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