Banche, cosa c’è dietro la voragine da 36 miliardi
Dal contratto giallo-verde il settore ha perso il 31,2%: l’effetto domino dello spread
Ufficialmente, lo spread tra BTp e Bund è lì, attorno a quota 300 punti base. Un livello che è già sufficiente a mettere in allarme tutte le banche italiane, e a far traballare quelle più fragili. Ma se si va più in profondità, e si mettono controluce i bilanci bancari e gli andamenti dei titoli, si scopre che la Borsa (che per sua natura guarda al futuro) sta già facendo scontare alle banche uno scenario molto, molto più critico di quello che può apparire. Uno scenario che, complice il pesante crollo delle capitalizzazioni delle banche, è compatibile con livelli da maxi-spread, ovvero qualcosa come 771 punti base in più rispetto ai numeri attuali. Numeri visti neppure nel novembre 2011, all’apice della crisi del debito. Ma soprattutto l’analisi mette in luce come la perdita di valore delle banche sia solo in parte generata tecnicamente dal caro-spread, e molto più, invece, dagli effetti a catena che l’ampliamento del differenziale può generare.
Il crollo delle capitalizzazioni
Numeri alla mano, è questo l’esito delle proiezioni fatte da Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim, per Il Sole 24 Ore. Per capire come si arrivi a uno spread implicito così alto nelle attuali valutazioni borsistiche bisogna fare un passo indietro. E guardare a come nel frattempo si sono mossi i titoli bancari. Il bilancio è impietoso. Dal 17 maggio, giorno in cui è filtrata la prima bozza del contratto di Governo giallo-verde, sulla borsa italiana sono cadute vendite a pioggia. Basti pensare che la capitalizzazione del settore bancario si è prosciugata sostanzialmente di un terzo, il 31,2 per cento. In valori assoluti, le banche italiane (o meglio, i loro azionisti) hanno visto andare in fumo 36 miliardi di euro. Si va dal -40% di Montepaschi (-1,47 miliardi) al -22% del Credem (-494 milioni) al -35% di BancoBpm (-1,5 miliardi). I due grandi colossi bancari del nostro Paese, Intesa Sanpaolo (-35%) e UniCredit (-30%), hanno perso rispettivamente 17 miliardi e 11 miliardi di market cap. Un crollo che, come noto, è attribuibile allo spread, che nel frattempo è raddoppiato, visto che è passato dai 150 punti base ai 299 di ieri. Il meccanismo con cui lo spread sui Btp si trasferisce sui patrimoni degli istituti del resto è semplice: ogni deprezzamento dei bond governativi riduce il valore dell’intero portafoglio detenuto dagli istituti, che devono fare il mark-to-market ogni fine trimestre. E così viene intaccato il cosiddetto Cet 1 ratio, ovvero l’indice patrimoniale per eccellenza, che infatti è sceso in media di circa 42 punti base.
Il paradosso del caro-spread
E così mentre i BTp cadevano, gli investitori vendevano i titoli delle banche. Ma quanto hanno venduto? Qua le cose si fanno interessanti. Perché se si parte dal portafoglio complessivo di titoli governativi esposti alla variazione dello spread (circa 160 miliardi di euro), l’incremento di 150 punti base del differenziale si traduce in una perdita secca sui Btp di “soli” - si fa per dire - 4,08 miliardi di euro. Ma nel frattempo il mercato ha ridotto i valori di borsa del settore di quasi 9 volte di più. Tradotto in percentuale, sul -31,2% di capitalizzazione del settore, il decremento di valori dei bond tecnicamente vale solo il 3,5% della perdita di market cap, mentre il restante -27% dei titoli è da attribuire a qualcos’altro. A che cosa? E come è possibile un tale eccesso in vendita da parte del mercato? L’unica spiegazione, dice Razzoli, è che «il mercato stia scontando qualcosa in più rispetto allo spread, ma che ad esso è direttamente collegato».
Spread, il mercato vede “oltre”
In primis, il mercato mette già in conto un downgrade da parte delle agenzie di rating sul merito di credito italiano entro fine mese: il downgrade di un notch da parte di S&P e Moody's, di fatto, è dato per scontato mentre mentre l’outlook ancora negativo spalancherebbe le porti ad un declassamento al livello junk. Con effetti nefasti sulla già limitata - per non dire assente - capacità degli istituti di approvigionarsi sul mercato a costi ragionevoli, visto che le emissioni obbligazionarie che oramai presentano costi insosteni- bili. Ma con meno liquidità e meno forza nel capitale, «le banche sono meno in grado di operare: possono fare meno prestiti e, di conseguenza, hanno meno capacità di generare utili, le cui stime infatti calano», dice Razzoli. Non solo. Avere meno capitale, per gli istituti significa avere anche meno margine per varare operazioni di pulizia del portafoglio. E visto che queste sono ritenute imprescindibili dalla Bce, le banche, ipotizza il mercato, dovranno fare nuovi sforzi sul capitale per potere allinearsi ai competitor e a rimanere in equilibrio rispetto alle richieste della Vigilanza. Ad esempio, nel caso di BancoBpm, secondo Equita Sim, il titolo incorpora un aumento di capitale da 1,5 miliardi per tornare a un p/e atteso in linea con i concorrenti. Mps, secondo le stime fatte da Credit Suisse, già con lo spread a 338 punti si troverebbe sotto le asticelle minime della Bce, e dovrebbe ricorrere a un aumento. Casi specifici a parte, tuttavia, il trend è chiaro: il caro-spread sta costando molto a tutti gli istituti, e senza distinzioni. E così tanto che alle valutazioni borsistiche odierne, e a fronte di un calo di borsa 36 miliardi, e in assenza di nuovi effetti collaterali, è come se il mercato avesse già incorporato uno spread “ombra” di 770 punti base aggiuntivi rispetto a quelli attuali, ovvero 1.070 punti base circa. Numeri teorici, ma che dicono quanto il danno sia già stato fatto, più che ancora da fare.
Razzoli (Equita): le banche scontano minori prestiti, minori utili e minor capacità di fare pulizia di bilancio