Banche, sconti Irap «allargati» sugli aumenti di capitale
Un interpello «supera» il mancato transito dal conto economico L’intervento riguarda spese accessorie come quelle professionali o notarili
I costi accessori alle operazioni di aumento o riduzione del capitale (spese professionali, notarili, commissioni di intermediazione eccetera) che le imprese Ias/Ifrs devono imputare a diretta riduzione del patrimonio netto della società emittente (Ias 32, par. 37) sono deducibili, ai fini Irap, non solo per le imprese industriali e commerciali, ma anche per quelle che redigono il bilancio secondo lo schema imposto dalla Banca d’Italia per gli intermediari finanziari.
La tematica è stata risolta in un interpello inedito dall’agenzia delle Entrate nel senso, peraltro, già auspicato dall’Assonime nella circolare 8 del 2018. Il principio di “presa diretta dal conto economico” dell’imponibile Irap preclude, in linea generale, che gli oneri imputati al patrimonio netto assumano rilevanza ai fini del tributo fino a quando non rigirino a conto economico. Il meccanismo è espresso nell’articolo 2, comma 2, primo periodo, del Dm 8 giugno 2011.
Per i costi connessi agli aumenti di capitale –che possono essere molto elevati – i principi contabili internazionali (lo Ias 32, par. 37) escludono il rigiro a conto economico, a meno che il progetto di aumento di capitale non venga abbandonato. L’applicazione del principio generale rischia quindi di causare, per motivi meramente contabili, l’indeducibilità di oneri che hanno, intrinsecamente, la stessa natura degli altri oneri di gestione o spese amministrative pacificamente deducibili.
Per attenuare la rigidità del principio generale, il secondo periodo del comma 2 disponeva: «Se per tali componenti non è mai prevista l’imputazione a conto economico la rilevanza fiscale è stabilita secondo le disposizioni di cui al decreto Irap indipendentemente dall’imputazione a patrimonio netto».
Ma il generico richiamo alle disposizioni di cui al decreto Irap (Dlgs 446 del 1997) ha creato, per alcuni, incertezze interpretative che hanno condotto a ritenere che gli oneri imputati al patrimonio potessero assumere rilevanza ai fini della base imponibile Irap solo per le imprese industriali e commerciali (il cui “valore della produzione” è determinato in base all’articolo 5 del decreto Irap) e non per le banche e gli altri intermediari finanziari il cui valore della produzione è determinato secondo l’articolo 6; conclusione, questa, che non è apparsa logica.
Opportunamente, l’articolo 1, comma 1, lettera a), n. 2 del Dm 3 agosto 2017 ha modificato il secondo periodo dell’articolo 2, comma 2, Dm 8 giugno 2011 il quale oggi, più chiaramente, dispone che la rilevanza ai fini Irap dei componenti imputati a patrimonio per i quali non sia mai previsto il rigiro al conto economico «è stabilita secondo le disposizioni applicabili ai componenti imputati al conto economico aventi la medesima natura». La relazione al Dm 3 agosto 2017 chiarisce che in tal modo si è inteso precisare come, al fine di individuare il corretto regime fiscale di un determinato componente di reddito, in assenza dell’imputazione a conto economico per effetto dell’applicazione degli Ias/Ifrs, è necessario indagarne la “natura”. L’interpello mette in pratica il principio con riferimento al caso dei costi connessi agli aumenti di capitale. Oneri che “per natura”, se imputati al conto economico, assumerebbero rilevanza ai fini Irap.
In particolare, come precisa l’Assonime, per i costi di transazione che hanno natura di prestazione di servizi (legali, peritali eccetera), si dovrebbe far riferimento alla voce “altre spese amministrative”; voce che assume rilevanza nei limiti del 90 per cento. Per i costi di transazione che hanno natura di commissioni di natura finanziaria si dovrebbe assumere che possano rilevare per intero. Si ricorda che la clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 2 del Dm 3 agosto 2017 fa salvi, fra gli altri, i comportamenti pregressi conformi alla disciplina di nuova introduzione.