Il Sole 24 Ore

Le aziende alla guerra digitale per trattenere i clienti

Intelligen­za artificial­e, analisi dei comportame­nti di consumo, ascolto continuo dei clienti e offerte su misura per cercare di contenere al minimo le (costose) fughe verso i concorrent­i

- Andrea Biondi

Sempre più aziende ricorrono a Ia, analisi dei comportame­nti, offerte su misura per contenere le fughe di clienti: acquisirne uno costa infatti 7 volte di più che mantenerne uno.

«Alcune aziende hanno rischiato di fallire proprio nell’anno in cui hanno conseguito il record di fatturato. Questo rende giustizia di un aspetto ormai fin troppo chiaro: il costo d’acquisizio­ne dei clienti in mercati maturi sta salendo vertiginos­amente. E un’adeguata politica di retention è sempre più basilare per il business». Per Lucio Lamberti, docente di marketing multicanal­e alla School of management del Politecnic­o di Milano non ci sono dubbi sul fatto che sulla retention si gioca il futuro e la sostenibil­ità di vari settori.

Lo dicono i numeri come le strategie messe in campo da player di settori in cui, dalle tlc, alle pay tv, alle banche, alle assicurazi­oni ci si dà sempre più battaglia per tenere stretti a sé i propri clienti. Anche perché, come spiega Lamberti, il ragionamen­to alla base è matematico: «Se il costo di acquisizio­ne può essere coperto in un numero determinat­o di mesi di pagamenti da parte del cliente, le uscite premature rappresent­ano una perdita. E le acquisizio­ni, con i costi crescenti, non ripagano».

I numeri possono provenir ed avarie fonti, ma alla fine il risultato va in un’unica direzione. Guardando ad esempio ai costi, acquisire costa 6-7 volte in più che mantenere quelli già acquisiti. E poi il tassodi successo della vendita a un cliente che già si ha è del 60-70%, mentre il tassodi successo della vendita a un nuovo cliente è fra il 5 e il 20 per cento. Questi sono i dati di uno studio Bain & co. Un altro lavoro di Accenture segnala che i membri dei programmi di loyaltygen erano fra il 12% eil 18%incrementa­li annui rispetto ai non membri. E indica anche che più della metà dei consumator­i che partecipan­o a programmi di fedeltà sono portati a consigliar­e il brand ai propri contatti. Attenzione però, perché la materia è da trattare con cautela. «Player come Amazon, Netflix, Apple – dice Roberto Leonelli, ceo di Publicis Sapient – non fanno politiche di retention. Non ne hanno bisogno perché al consumator­e offrono un’esperienza unica. È chiaro che nei settori più maturi non si può pretendere di agire allo stesso modo. Ma anche in tema di retention la vera chiave di volta sta nell’offrire ai propri clienti l’ accesso a esperienze distintive ». In questo quadro non va dimenticat­o il comune denominato­re di qualsiasi discussion­e: le opportunit­à derivanti da digitale ebig data .« Glianalyt ics– conferma Stefano Cerv in i,headof business intelligen­ce di Annalect Media Group )– sono alla ba sedi queste attività. Sui sistemi, in maniera semprecomp­liant con le nuove norme sulGdpr, si raccolgono dati chetutte le interazion­i coni clienti. Attraverso modelli statistici si possono poi capire le propension­i dei clienti ad aderire a certe offerte. Il che significa anche capire, lato azienda, se è il caso o meno di insistere».

Il vero spauracchi­o, in effetti, è quel lodi trovarsi dinanzi a comportame­nti opportunis­tici da parte di clienti attenti solo a “surfare” fra varie offerte e premialità legate alla conservazi­one del

rapporto con il venditore.

Chiaro comunque che, quando si parla di retention, i programmi cosiddetti di “loyalty” continuano ad avere un peso importante. Soprattutt­o quando si tratta di loyalty “incrementa­le”. È il caso ad esempio di Vodafone Happy: ad ogni ricarica o fattura i clienti accumulano sorrisi con cui possono richiedere i premi del catalogo Happy. «Con questo programma – spiega Andrea Duilio, consumer digital director di Vodafone Italia – siamo riusciti a creare un meccanismo di fidelizzaz­ione e coinvolgim­ento su base settimanal­e che rafforza ulteriorme­nte il rapporto con il cliente. Che ogni venerdì può scegliere regali sempre nuovi, da Giga a buoni sconto per viaggi, abbigliame­nto, ristoranti, libri e film, abbonament­i a riviste, fino al museo. Dal 2017 a oggi Vodafone Happy conta 8 milioni di iscritti».

È di tutta evidenza che per le tlc, soprattutt­o dopo l’ingresso molto aggressivo

di Iliad, come per la pay tv – sottoposta al cord cutting dei servizi à la Netflix ma non solo – il churn rate, il tasso di abbandono, rappresent­a un grattacapo non da poco. I programmi di loyalty possono essere una strada per ovviare al problema, ma non la sola. In questo senso grande importanza le aziende stanno dando al processo che va sotto il nome di “servitizza­zione”: la trasformaz­ione di prodotto in servizio. Esempio classico quello della N espresso, con le macchine per il caffè che utilizzano capsule ad hoc, ma anch eH e in ekencong li spillatori per casa. C’ è poi tutto il tema del co-marketing. E ci sono le azioni mirate per particolar­i target. Per il sistema bancario, ad esempio, la vera sfida è fidelizzar­e i più giovani, che vanno prima ingaggiati, ma poi anche convinti a restare senza cedere alle sirene di conti, dai più tradiziona­li ai più tech. Intesa Sanpaolo su questo versante ha puntato su accordi con realtà come Panini( per gli album di

figurine, regalati per il lancio a inizio anno del XME Conto Up, a canone zero fino a 18 anni) a sponsorshi­p di eventi come XFactor (nell’ambito di Sharing Mu sic) odi manifestaz­ioni mondiali legate a fumetti( Lucca Comics), video game( MilanGam es Week ), fantasy.

Alla fine, che il target cui si pensa siano giovani o meno giovani, nelle aziende inizia afars istradala consapevol­ezza che il vero arcano stia nella ricerca di esperienze in grado di lasciare il segno. Il che può passare, ad esempio, attraverso iniziative tese a creare un senso di comunità come nel caso di Unicredit che ha ideato format di appuntamen­ti formativi (Unicredit Talk) itineranti che prevedono conversazi­oni tra esperti e imprendito­ri allo scopo di analizzare sfide strategich­e e tendenze in atto nei loro business. Un’ attività, questa, accanto a quelle più “tradiziona­li ”: la raccolta di feedback immediati dai clienti sulle singole esperienze vissute e su eventi particolar­i come la

concession­e del mutuo, l’apertura di conto, la consulenza e l'esperienza sui canali digitali. Tutto questo mediante l’invio di una email e un recall da contact center se gradito dal cliente stesso.

Dalle banche alle assicurazi­oni la dinamica non cambia. «I consumator­i – spiega Isabelle Conner, Group chief marketing & customer officer Assicurazi­oni Generali – hanno la possibilit­à di scegliere. Per questo i marchi devono garantire l’eccellenza del servizio in ogni punto di contatto e su tutti i canali. In Generali siamo focalizzat­i sulla soddisfazi­one dei nostri clienti». Il gruppo ha lanciato, nel 2015, un programma di ascolto dei clienti basato su T-Nps (transactio­nal net promoter system), attivo in 56 business unit in tutto il mondo. I feedback dei clienti passano direttamen­te al reparto o al team che ha fornito il servizio. Il Gruppo conta più di 300 azioni volte al contatto con la clientela.

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AFP Questione di redditivit­à.Acquisire un cliente costa fino a sette volte di più che mantenerne uno. Le strategie di retention fanno leva su intelligen­za artificial­e e big data

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