Il Sole 24 Ore

Trump contro la «pazza» Fed pensando alle urne

Con il rialzo dei tassi la spesa Usa sul debito 2018 tocca i 523 miliardi (+14%)

- Riccardo Sorrentino

«The Fed is going loco». «La Fed sta diventando pazza». Donald Trump non risparmia nessuno, neanche la Banca centrale guidata da un uomo scelto da lui, il giurista Jim Powell, “colpevole” di voler alzare i tassi in un’economia tornata alla normalità.

L’accusa è scattata dopo la flessione di Wall Street di mercoledì (- 3,29% l’indice S&P), in un’intervista a Fox News. «Il problema che ho è con la Fed - ha detto Trump -. La Fed sta impazzendo. Voglio dire, non so qual è il loro problema, stanno alzando i tassi, ed è ridicolo». Nella flessione di Borsa «il problema è il Tesoro (il “suo” dipartimen­to del Tesoro, ndr) e la Fed. La Fed sta diventando pazza e non c’è alcuna ragione. Non sono contento».

Non è la prima volta: gli attacchi alla Fed risalgono ai tempi della campagna elettorale, quando era guidata dalla “democratic­a” Janet Yellen, e anche allora il punto dolente era la stretta sui tassi, peraltro allora quasi solo prevista. Negli ultimi tempi c’è stata però un’escalation. Solo mercoledì il presidente aveva detto: «Penso che la Fed stia facendo un errore. Sono così rigidi. Penso che sia impazzita». A settembre, subito dopo l’ultimo rialzo, Trump si era detto «preoccupat­o», rivelando le sue vere ragioni: «Possiamo fare altre cose con quel denaro».

Il timore di Trump - non diverso da molti politici di tutto il mondo - è quello di dover destinare troppe risorse agli interessi sul debito. Nell’anno fiscale 2017 il sistema pubblico Usa - compresi Stati ed enti locali - ha versato interessi per 458,5 miliardi di dollari. Un record, stracciato nell’esercizio 2018 appena chiuso: la spesa ha raggiunto 523 miliardi, con un balzo del 14%. Non mancano motivazion­i più strettamen­te politiche: a novembre si vota per le elezioni di midterm e un calo di Borsa - che fa sentire gli Americani meno ricchi e quindi meno propensi a consumare - non è il miglior modo per accompagna­rli alle urne. Occorre un capro espiatorio e attaccare la Fed - poco amata da quel popolo del Tea Party che ormai conserva, in questa fase trumpiana, solo lo spirito anti-establishm­ent - può aiutare a compattare i sostenitor­i.

Le parole di Trump segnalano in ogni caso come stiano cambiando gli equilibri istituzion­ali negli Usa. L’indipenden­za della Fed - per quanto imperfetta - ha lo scopo di impedire al mondo politico di abbassare i tassi nell’avvicinars­i delle elezioni, sapendo che il prezzo, la maggior inflazione, sarà pagato solo due anni dopo (quando però si rischia di dover “decidere” una recessione per raffreddar­e i prezzi). Indipenden­za non è inoltre separatezz­a, a Washington, dove c’era l’abitudine, per il presidente della Fed, di incontrare il segretario al Tesoro ogni settimana, a pranzo - e Steven Mnuchin ha spesso ripetuto il suo sostegno alla Fed - e, sia pure meno spesso, lo stesso presidente. Trump ha invece ammesso, martedì, di non aver incontrato Powell per tutto l’anno: «Preferisco non avere a che fare con loro», ha detto.

Che valore hanno però, al di là del linguaggio inadatto, le parole di Trump? Quel «sta diventando pazza» può forse essere tradotto nella più mite domanda: «Sta sbagliando la Fed?». Non, sembra, ma c’è chi teme che la stretta possa andare troppo in là. La Fed ha inondato gli Usa di liquidità per sostenere credito e prezzi, che hanno reagito lentamente. Ora però l’inflazione, che ha superato il 2%, potrebbe sfuggire di mano e la stretta, finora prudente, è nell’ordine delle cose. Un solo aspetto rende inquieti gli analisti: i tassi reali - che nel lungo periodo non dipendono dalla politica monetaria - sono bassi (1.06% a 10 anni) e la curva delle scadenze è piatta, segnalando un rischio di recessione: la Fed di Cleveland le attribuisc­e una probabilit­à del 16,46% entro un anno, in calo rispetto al 18,7% di fine agosto, ma pur sempre ai massimi dal 2009. Tutto questo però è un invito alla prudenza, non la prova di un errore.

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