Scatta lo scudo americano sulle aziende strategiche
Dal 10 novembre le nuove norme: sì preventivo del Tesoro in 27 settori Sotto tutela soprattutto tlc, semiconduttori, aerospaziale e chimica
Dal nostro corrispondente Le aziende americane non saranno più terra di conquista per la Cina. L’amministrazione Trump ha appena rivisto le regole sugli investimenti esteri, facendo seguito alla legge approvata in agosto dal Congresso a tutela del made in Usa.
Il 10 novembre entrerà in vigore una normativa molto più restrittiva rispetto all’attuale che riguarda 27 settori industriali, tra cui telecomunicazioni, semiconduttori, computer, aerospazio, chimica, armamenti, nucleare e le tecnologie più innovative, come il nuovo wireless 5G o la produzione di batterie.
Le acquisizioni e le fusioni, ma ora anche le partecipazioni, le joint venture, gli investimenti azionari minori, così come le transazioni immobiliari vicine a basi militari o ad altri obiettivi sensibili, dovranno essere autorizzate preventivamente da un comitato governativo guidato dal segretario al Tesoro, Steven Mnuchin. Il nuovo dettato normativo pensato in particolare per la Cina, interessa in realtà tutti gli investimenti effettuati dalle aziende straniere negli Usa, Italia compresa.
«Dobbiamo proteggere meglio i gioielli della corona della nostra tecnologia e la proprietà intellettuale». Il presidente Trump più volte negli ultimi mesi si è espresso contro l’aggressività dell’espansione economica di Pechino accusata di trafugare a piene mani nell’hi-tech americano. Il primo agosto il Senato ha approvato in via definitiva la legge denominata Foreign Investment Risk Review Modernization Act (o Firrma) che aumenta i poteri dell’esecutivo per investigare e nel caso bloccare i deal stranieri sulle aziende americane, nei settori ritenuti sensibili o che pongono rischi alla sicurezza nazionale.
Il Commitee on Foreign Investment in the United States (Cfius) questo il nome dell’organismo governativo al centro della legge - è composto da rappresentanti dei Dipartimenti di Difesa, Giustizia, Commercio, Energia, Interni, Esteri ed è guidato dal segretario al Tesoro. Volta per volta invierà le sue raccomandazioni al presidente che ha il potere di sospendere o proibire le operazioni delle aziende straniere negli States. La legge approvata in larga maggioranza con un consenso bipartisan dava 18 mesi di tempo al Tesoro per mettere in campo i regolamenti. Ma, con la spinta data dalla Casa Bianca, ci sono voluti poco più di due mesi per passare dalle regole scritte all’attuazione. E dal prossimo 10 novembre si parte: ogni investimento straniero nelle aziende americane dovrà essere notificato preventivamente al Comitato governativo, anche nel caso di partecipazioni minori che non impattano sul controllo della società. La mancata notifica comporterà pesanti multe, ha già fatto sapere il Tesoro.
Nel marzo scorso il Cfius aveva bloccato il takeover miliardario nel settore dei microchip sulla società di San Diego Qualcomm da parte della rivale americana Broadcom, che in quei mesi aveva spostato l’headquarter a Singapore (ora è rientrata negli Usa), perché l’operazione poneva «rischi per la sicurezza nazionale e privava gli Stati Uniti di un campione nelle telecomunicazioni».
Per lo stesso motivo all’inizio del 2018 è stata impedita l’acquisizione da 1,2 miliardi di dollari di MoneyGram da parte di AntFinancial, la società finanziaria del colosso dell’ecommerce cinese Alibaba.
I funzionari del Tesoro durante la presentazione hanno spiegato che il programma non è stato pensato solo per la Cina ma riguarda ogni investitore straniero. Tuttavia inevitabilmente le nuove regole americane rischiano di complicare ancora di più le commplesse relazioni tra le prime due economie mondiali. Secondo il think tank Public Citizen, il 56% degli investimenti cinesi negli Stati Uniti lo scorso anno hanno riguardato settori che Pechino definisce “strategici” come aviazione, auto elettriche, biotecnologie. Negli ultimi mesi, con la stretta di Trump, gli investimenti cinesi sono crollati di oltre il 90%, ai livelli più bassi da sette anni stando ai dati di Rhodium Group. La Cina ha annullato i negoziati commerciali previsti a Washington a fine settembre dopo il secondo round di dazi americani. Lunedì scorso il ministro degli Esteri Wang Yi ha inviato un forte richiamo agli Stati Uniti incontrando a Pechino il segretario di Stato Mike Pompeo, affinché cessino immediatamente le tensioni commerciali. La Casa Bianca spera di riuscire a far incontrare Donald Trump con il presidente cinese Hu Jintao al prossimo G 20 in Argentina a fine novembre. Ma tra i due paesi c’è davvero alta tensione. L’ultimo episodio riguarda la spia cinese arrestata in Belgio accusata di furto di segreti industriali americani di cui le autorità Usa chiedono l’estradizione. Yanjun Xu, funzionario del Mss, l’agenzia di spionaggio civile cinese, fingendosi docente universitario si sarebbe impossessato di cinque documenti riservati di General Electric sui motori aerei.
NEW YORK
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Dal nostro inviato
L’inizio della guerra
BALI
Il direttore generale dell’Fmi, Christine Lagarde, conferma le preoccupazioni sull’economia mondiale, che continua a crescere, ma con meno forza, in modo diseguale e con alcune nuvole all’orizzonte. Come aveva già sottolineato il capoeconomista dell’organizzazione, Maurice Obstfeld, nel World Economic Outlook presentato martedì, preludio ai lavori del meeting annuale dell’Fmi e della Banca mondiale, in corso a Bali.
Il principale punto dolente, per Lagarde, sono le tensioni commerciali: per questo ripete come un mantra l’invito a «de-escalare, correggere il sistema multilaterale, non romperlo». Nulla di nuovo: è infatti la posizione da due anni a