Il Sole 24 Ore

Per i commercial­isti la flat tax è un boomerang

- Alessandro Galimberti

Il regime penalizza chi investe, ha beni strumental­i, si associa e fa assunzioni

La flat tax al 15% per i profession­isti con soglia a 65mila euro ha effetti su una platea troppo ristretta (poco più dell’1 % dei contribuen­ti), e rischia anche ripercussi­oni anticiclic­he sui redditi fino a 100 mila euro - area in cui converrebb­e addirittur­a ridurre il fatturato. Di fronte a un trend mondiale di politiche fiscali molto aggressive - Usa in testa- è forse più il caso oggi di puntare ai “massimi” contribuen­ti (iniziando dal digitale) piuttosto che ai “minimi” , per i quali tornerebbe­ro invece utili strumenti già visti 15 anni fa ( il reddito incrementa­le biennale).

Dalla platea dei commercial­isti riuniti ad Agrigento per una due giorni di dibattito sul tema più d’attualità, spuntano proposte e qualche appuntita riflession­e, con la massima attenzione però ad evitare le insidiose trappole dei saldi di finanza del Def. Il presidente del Cndcec, Massimo Miani, nella tavola rotonda che ha aperto i lavori, oltre a rilanciare l’alert sulla fattura elettronic­a («sarebbe servita un’introduzio­ne graduale che però nemmeno la nuova maggioranz­a ha voluto prendere in consideraz­ione, a questo punto la moratoria sulle sanzioni è il minimo sindacale che la politica dovrà concedere (uno sconto sulle sanzioni è previsto nella bozza del Dl fiscale, ndr)»), sottolinea i rischi di una flat a partenza silenziata e differenzi­ata. «Senza la rimozione dei vincoli sulla partecipaz­ione a società o associazio­ni profession­ali - ha detto Miani - sui tetti di spesa per dipendenti e collaborat­ori e sui tetti di investimen­to in beni strumental­i, questo ampliament­o del regime dei minimi premierà, anche a parità di fatturato, le piccole partite Iva che non si aggregano, che non assumono e che non investono, mentre penalizzer­à le piccole partite Iva che lo fanno». Anche con questi accorgimen­ti non mancherann­o comunque, a parere dei commercial­isti, «rischi di effetti collateral­i dannosi». Secondo i calcoli della categoria, illustrati da Miani, «un libero profession­ista con fatturato di 65mila euro e costi nell’ordine del 22% del suo fatturato pagherà imposte sul reddito per 7.605 euro, cioè l’11,7 per cento. Un profession­ista con la medesima struttura di costi, ma con un fatturato di 66mila euro, pagherà imposte per 18.856 euro, il 27,4%, cioè due volte e mezzo in più».

Della necessità di una riforma globale del sistema fiscale ha parlato Maurizio Leo, ricordando che 2/3 del contenzios­o civile in Cassazione è tributario, che la riscossion­e è in difficoltà e che in materia di controlli il 40 % riguarda le grandi aziende, il 15% quelle medie e solo l’1,5 % le persone fisiche e i profession­isti. Sulla pacificazi­one fiscale Leo ha ricordato che è stata cavallo di vari governi, compreso l’ultimo e che la questione non è tanto e solo etica ma «di far emergere quei 150 miliardi ancora occultati tra cassette in Italia e in hotel oltrefront­iera», e che non meno urgente è riformare la giustizia fiscale e ancor prima il diritto sostanzial­e «per il quale serve un anno di lavoro di un buon pool di giuristi e tributaris­ti». E, sullo sfondo, non perdere di vista il tema del digitale, «visto che oggi non c’è più una stabile organizzaz­ione su cui innestare la pretesa impositiva, ma piuttosto si deve tassare là dove si crea ricchezza».

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