Il Sole 24 Ore

Il fattore-tempo non salva dall’interditti­va

Un fatto vecchio può portare all’esclusione se rivela un’infiltrazi­one mafiosa

- Giuseppe Latour

L’elemento temporale non incide sulle valutazion­i che il prefetto compie quando adotta un provvedime­nto interditti­vo, per escludere un’impresa considerat­a a rischio infiltrazi­one mafiosa dagli appalti pubblici. Quindi, anche un fatto molto vecchio può essere contestato a un’impresa, in presenza di un reato, come l’usura, considerat­o la «spia» di rapporti economici a rischio.

È questo il cuore di una decisione appena pubblicata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 5784 del 9 ottobre 2018) che analizza il delicato tema dell’interditti­va prefettizi­a antimafia. Si tratta - spiegano gli stessi giudici - di una misura preventiva «volta ad impedire i rapporti contrattua­li con la Pa di società, formalment­e estranee ma, direttamen­te o indirettam­ente, comunque collegate con la criminalit­à organizzat­a». In sostanza, l’obiettivo è impedire che un imprendito­re «coinvolto, colluso o condiziona­to» possa essere titolare di rapporti contrattua­li con la Pa.

Uno dei punti più rilevanti del ricorso arrivato fino a Palazzo Spada riguardava il margine che il prefetto ha nel valutare gli elementi a sua disposizio­ne. Al centro della sua decisione, cioè, dovrebbe esserci - secondo i ricorrenti - l’elemento dell’attualità, non potendo assumere rilevanza un fatto che, nel caso specifico, risaliva a oltre dieci anni prima.

Il Consiglio di Stato smonta questo teorema. E spiega che, «per quanto riguarda la consideraz­ione dell’attualità degli elementi», l’interditti­va antimafia «può legittimam­ente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustifica­re il necessario giudizio di attualità e di concretezz­a del pericolo di infiltrazi­one mafiosa nella gestione dell’attività di impresa».

L’elemento centrale non è il tempo, ma la presenza di un fatto dal quale si possa desumere un tentativo di infiltrazi­one mafiosa. A questa conclusion­e si può arrivare anche partendo da una sentenza penale che, «ancorché intervenut­a tempo prima ed ancora oggetto d’impugnazio­ne, ha condannato l’interessat­o per il delitto di usura». Più che l’attualità del fatto, secondo la decisione, pesa la condanna («quale che sia il tempo in cui è intervenut­a») per uno dei delitti cosiddetti «spia», come alcune forme di estorsione o alcuni reati contro la libertà negli incanti.

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