Carcere duro senza divieto di cuocere alimenti
La restrizione non è funzionale agli scopi perseguiti dal 41-bis
È contrario al senso di umanità e alla funzione rieducativa della pena il divieto di cuocere i cibi in cella imposto a chi è sottoposto al “carcere duro” . La Consulta (sentenza 186/2018) cancella la parte del 41bis che nega la possibilità di usare il fornello per la cottura dei cibi a chi sconta la pena in regime differenziato, consentendone l’uso solo per riscaldare. I giudici delle leggi chiariscono che gli inasprimenti previsti dal 41-bis sono in linea con la Carta solo se funzionali allo scopo. L’obiettivo della norma è quello di evitare che il detenuto abbia contatti con l’esterno e che mantenga o accresca la sua posizione di “potere” in carcere.
Ma il divieto in questione non risponde al fine per il quale la legge consente deroghe al regime ordinario. L’acquisto di generi di “lusso” - che potrebbe essere strumentale all’ostentazione di una situazione di privilegio- è già scongiurato dalle normali regole. Né il divieto in questione potrebbe favorire contatti con l’esterno o aumentare il rischio di un uso improprio di utensili già nella disponibilità del carcerato. La possibilità di cuocere il cibo costituirebbe una modalità umile e dignitosa per mantenere le usanze del mondo esterno, in una situazione di aspra solitudine. Oltre che utile a un regime alimentare più sano. La norma è dunque contraria al senso di umanità e si traduce in una ingiustificata vessazione.