Il Sole 24 Ore

L’ARGENTINA E LE LEZIONI MAI IMPARATE

- di Marcello Minenna

Per la quinta volta in 50 anni l’Argentina precipita in una crisi valutaria grave. Il Fondo monetario internazio­nale è sceso in campo con un programma record per 57 miliardi di dollari, di cui 15 già sborsati.

L’attuale presidente Mauricio Macri è salito al timone nel 2015 sull’onda dell’insoddisfa­zione popolare per le politiche keynesiane della coppia Nestor e Christina Kirchner.

La cura peronista dei Kirchner ha garantito una ricostruzi­one “post-bellica” dell'economia argentina dopo le devastazio­ni del 2001-2002 e default sul debito pubblico. In meno di 5 anni, l'Argentina ha recuperato il PIL perduto, ricostitui­to la base industrial­e e riportato al lavoro oltre 6 milioni di persone. Tra i successi va annoverata la riduzione del rapporto debito/PIL dal 120% al 40%.

I costi sono stati tangibili: per via della la scala mobile che indicizzav­a i salari al 100% dell'inflazione ed il finanziame­nto monetario del deficit l'inflazione è rimasta intorno al 20%.

Dopo 3 iperinflaz­ioni, 4 riforme valutarie ed il famigerato corralito che ha comportato la conversion­e forzosa dei depositi in valuta estera in pesos e di parte dei depositi in peso in debito pubblico quasi in default, il sistema monetario argentino è oramai duale, con il peso valuta corrente ed il Dollaro valuta pesante per il risparmio privato. È la stessa crescita economica ad incrementa­re la domanda di Dollari ed alimentare una perenne “fuga di capitali” ed il deprezzame­nto del peso.

Un controllo dei capitali per limitare la Dollarizza­zione ed il declino del peso è stato inevitabil­e, ma sostenibil­e in un periodo di boom dei prezzi di soya, grano, petrolio di cui è il Paese è forte esportator­e.

Dal 2012 il crollo dei prezzi ha ridotto il valore delle esportazio­ni e reso difficile l'afflusso di valuta forte per le crescenti importazio­ni ed il risparmio. In termini più ampi, le istituzion­i di un sistema dirigista, inefficien­te e corrotto ed una finanza all'età della pietra non hanno intercetta­to le necessità di risparmio e consumo della ri-nascente classe media.

La contro-rivoluzion­e liberista di Macri è stata brutale: la libertà di movimento dei capitali ha provocato la svalutazio­ne del 30% del peso, riflessa in maggiore inflazione. Macri ha ridotto le tasse all'esportazio­ne, salari ed occupazion­e pubblica ed aumentato le tariffe delle utilities, oltre ad imporre una dura riforma pensionist­ica.

L'Argentina è poi tornata sui mercati internazio­nali del debito patteggian­do con gli hedge fund. Da allora il governo è riuscito nel dubbio risultato di accrescere il debito in Dollari del 56% in 2 anni. La ricetta neoliberis­ta ha previsto, insieme all'indebitame­nto pubblico, lo sviluppo del mercato del debito privato attraverso prestiti strutturat­i ancorati all'inflazione (UVA) con cap alle rate e reprofilin­g automatico della durata. Il mercato dei mutui e del credito al consumo nel 2017 è esploso, consentend­o agli argentini di indebitars­i per immobili ed auto e di sostenere la crescita nonostante il rafforzame­nto del Dollaro.

Nel 2018 tuttavia la guerra commercial­e di Trump e la crisi valutaria turca hanno spinto il peso in free-fall, con una svalutazio­ne del 293%. Da inizio 2018 i rendimenti impliciti sul debito pubblico estero sono raddoppiat­i fino al 10%, misurando un rischio di default ad 1 anno del 10%.

I tassi di interesse a breve al 60% e nuova austerity non hanno placato i mercati ma hanno aggravato la recessione. Il prestito FMI potrebbe tenere a galla Macri fino alle elezioni per evitare il ritorno dei populisti, ma dopo sarà solo, a gestire la recessione ed un debito estero - di nuovo insostenib­ile.

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Per la quinta volta in 50 anni il Paese è precipitat­o in una crisi valutaria grave

Il prestito Fmi riuscirà solo ad aiutare Macri fino al voto per evitare il ritorno dei populisti

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