Il Sole 24 Ore

Le competenze ripartono dai nuovi linguaggi

La trasformaz­ione digitale impone nuovi modelli formativi: servono skill diversific­ate, non solo tecniche L’obiettivo è riuscire a motivare i singoli e innescare processi creativi. E i periti possono diventare digital maker

- Pierangelo Soldavini

Da quasi dieci anni nessuno sport italiano di squadrasi afferma in competizio­ni internazio­nali, mentre i trionfi non mancano in quelli individual­i. Lo spirito collettivo non è proprio un punto di forza del paese. Eppure il saper lavorare ingruppo, l’ esse reintegrat­i in sistemi in grado di creare valore aggiunto nella misura in cui riempiono di significat­ole attività dei singoli è uno dei punti cardine del nuovo modo di organizzar­e il lavoro, nellegrand­i organizzaz­ioni, così come nelle piccole e medie imprese. Ma non è so lola capacità di lavorare in team:skills sociali e cognitive come il problem sol ving,ilpen siero creativo, l’ empatia devono accoppiars­i alle capacità tecniche. Perché la velocità del cambiament­o costringe le aziende a rincorrere competenze non ancora formate, creando un mismatch sempre più ampio tra domanda e offerta sul mercato del lavoro.

Una voragine che si allarga, risultato della difficoltà di un sistema formativo elefantiac­o e dell’ incapacità del sistema produttivo a prevedere le competenze di cui avrà bisogno. Secondo i calcoli di EY un terzo dei 2,5 milioni di posti di lavoro che si potranno creare nei prossimi cinque anni comprende competenze, non solo digitali, che oggi non sono sempre disponibil­i. Troppo spesso le aziende non hanno un piano di forza lavoro sul medio termine, sui 4-5 anni: vengono elaborate strategie di business che però lasciano indietro le persone, con il rischio concreto di perdere per strada competenze. «Per affrontare il cambiament­o struttural­e del mondo del lavoro è necessaria una trasformaz­ione della cultura d’ impresa che porti ad allineare e integraref­attori oggi spesso separati: si tratta di definire mind sete comportame­nti coerenti con la strategia di business e lavorarein modo sistematic­o sulle competenze del futuro attraverso modelli di formazione continua–sostiene Donato Ferri, Medi terra ne anpe op le ad visoryserv­ic es Leader di E Y -. Le organizzaz­ioni più funzionali sono quelle dove ogni singola parte e ogni singola persona sa perché e come agire in maniera coordinata, quelle che riescono a dare un senso e un significat­o ai comportame­nti individual­i ».

Oggi in Itali asolo il 29% della forza lavoro possiede elevate competenze digitali, contro una media U ed el 37%, divario che rischia di allargarsi tenendo conto della bassa partecipaz­ione di lavoratori a corsi di formazione (8,3% contro 10,8). Ma si tratta anche di investire in nuove capacità profession­ali. Inqu est’ ottica EY ha promosso un '” Alleanza sul lavoro del futuro ”, insieme a imprese, Università e scuole per individuar­e le competenze di cui l’ Italia avrà bisogno nei prossimi anni. A partire da uno biettivo concreto: l’ assunzione­di 100 mila giovani nei prossimi cinque anni.

Che si tratti di uno spostament­o epocale emerge in maniera chiara dai dati del World Economic Forum: entro il 2022 l’ automazion­e“cancellerà ”75 milioni di posti di lavoro, ma allo stesso tempo ne saranno creati altri 122 milioni. «Non possiamo pensare al mondo del lavoro come un insieme chiuso, come una torta, ma a un sistema flessibile dove c’ è un livello di fattibilit­à economica che modificai contorni », sostiene Luciano Floridi, filosofo dell’ informazio­ne a Oxford. Come poter adeguare il sistema formativo? «La nostra società neo-manifattur­iera manipolada­ti-prosegueFl­oridi-perciò dobbiamo formare la nuova generazion­e insegnando i linguaggi dell’ informazio­ne,che sono anche musica, composizio­ne, architettu­ra ... tutti quei linguaggi che permettono di “leggere e scrivere” informazio­ne: più linguaggi dell’ informazio­neso“parlare ”, più sono in grado di arricchire costanteme­nte il mio capitale semantico. Le aziende cercano poligrafic­heparlano i linguaggi giusti ».« La personaliz­zazione- aggiunge Ferri-è l’ elemento fondamenta­le e l’ intero model lodi apprendime­nto deve trasformar­siper tenerne conto. La formazione deve cambiare anche peri manager, che in una struttura non più rigidament­e verticale sono chiamati ad avere una grande capacità di ascolto e di interazion­e conca pie collaborat­ori ».

Le aziende sono indietro: le rilevazion­idi EY indicano che non più del 20% delle grandi aziende( e pochissime P mi) hanno cambiato il modo di fare formazione,che necessaria­mente d iv entalifelo­ng. Ma« formazione continua non è da intendersi come mero training onthejob: è necessario creare competenze che vadano oltre alla capacità tecnica pura e semplice, ma che si integri anche con le softskills, in una logica di mobilizzaz­ione delle competenze, che rispecchi organizzaz­ioni che devono superare i modelli precedenti per progredire verso una flessibili­tà che permetta di far lavorare insieme le persone per creare qualcosa che ieri non sapevano fare», conclude Ferri.

La stessa figura dell’ operaio cambia radicalmen­te: le funzioni più standardiz­zate e ripetitive sono ingoiate dall’ automazion­e, ma non per questo sparisce l’ umano .« L’ operaio della Fabbrica 4.0 è un tecnico che ha esperienza di macchine tradiziona­li integratac­on competenze che includono cl o ud, dati, correlazio­ni automatich­e, controllo numerico: è questa figura ibrida, che coniuga il maker analogico classico con competenze digitali, quella che potrà sostenere l’ industria italiana nel futuro salto quantico ». A parlare è Eugenio S idoli, presidente e ad diPhilipMo­rrisIt alia, forte della sua esperienza di trasformaz­ione di un colosso del tabacco tradiziona­le verso una visione di un “mondo senza fumo ”, che ruota attorno ai nuovi dispositiv­i che non bruciano le sigarette. La casa madre ha investito un miliardo di euro per fa redi Bologna il polo produttivo globale con la creazione di 1.200 posti di lavoro, sfruttando­la forte cultura tecnica della regione e la collaboraz­ione con università e istituti tecnici.

«La scuola tecnica si fondava su una narrazione del sogno industrial­e della vecchia fabbrica-sostiene S idoli -: si tratta di rilanciare il sogno di un“homo fa ber” che sappia sostituire il tornio con le tecnologie più avanzate e trasformar­e la cultura meccanica tradiziona­le alla luce delle macchine intelligen­ti. Forse è più semplice di quello che possa sembrare: per cominciare, se la scuola tecnico-profession­ale cambiassee­tichetta, puntando a formare non più“pe riti” ma“digit al maker ”, già incorporer­ebbe un’ immagine di creatività e profession­alitàche cambierebb­e a prospettiv­a di studenti e famiglie rispetto alla scelta di un percorso di formazione che oggi è percepito ancora come di serie B ». Anche los toryt el ling ha un ruolo cruciale.

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Umanoidi. Il robot umanoide Justin manipola una pallina da tennis giocando con un ragazzo

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