La corsa globale alle skill digitali
L investimento in conoscenza paga sempre gli interessi mi«L’gliori»,
osservò Benjamin Franklin. Più di due secoli dopo l’osservazione non potrebbe essere più attuale. Big data e sistemi di intelligenza artificiale sono i motori di una digital transformation del mondo del lavoro a tutti i livelli, da quello manifatturiero ai servizi dove l’impatto rischia di essere devastante (più del 7% del Pil delle Filippine è prodotto da call center nei quali i sistemi di Ai taglieranno molti posti di lavoro). La sostituzione dei lavoratori con le macchine non è nuova ma questa volta investe in pieno anche la classe media. Questa evoluzione è ben conosciuta dagli economisti e non mancano i segnali di allarme sul “digital mismatch”, l’asimmetria tra le skills richieste e le effettive competenze dei lavoratori. Un recente studio della Commissione Ue mostra che nove posti di lavoro su dieci richiederanno skills digitali nell’arco del prossimo decennio, ma che il 44% degli europei tra i 16 e i 74 anni non hanno le competenze necessarie per affrontare questa transizione. L’Europa sta reagendo su vari livelli. La Commissione ha messo in campo il Digital Europe Programme, un pacchetto di misure da 9 miliardi di euro di cui fa parte il Digital Skills and Jobs Coalition che dovrebbe avere un budget di 700 milioni per il periodo 20212027. La corsa è serrata. L’Automation readiness index dell’Economist vede la Germania ai vertici mondiali, alla pari con Giappone e Corea del Sud, ma nella formazione è leader l’Estonia, davanti alla Corea del Sud, mentre la Germania è quarta e Francia e Inghilterra rispettivamente sesta e ottava nella fascia dei paesi sviluppati. L’Italia è ancora nel girone degli “emergenti” dietro a Emirati Arabi e Argentina.