Il Sole 24 Ore

Il dilemma tra legge e morale

A colloquio con Ian McEwan. L’autore ha sceneggiat­o «Il verdetto», tratto da un suo romanzo, indagando sul conflitto tra uno Stato laico e i dogmi religiosi: l’esempio del minorenne che rifiuta la trasfusion­e di sangue

- Eliana Di Caro eliana.dicaro@ilsole24or­e.com © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Qui si applica la legge e non la morale»: lo sguardo deciso e risoluto del giudice dell’Alta Corte britannica Fiona May (Emma Thompson) si posa sugli astanti, incurante delle lacrime della madre dei gemelli siamesi per i quali ha appena disposto la separazion­e, decretando la morte di uno dei due piccoli per garantire la sopravvive­nza dell’altro. I genitori sono contrari all’intervento: hanno la convinzion­e che la vita sia un dono di Dio, solo Dio può toglierla. La stessa filosofia governa le scelte di Adam Henry (Fionn Whitehead), 17 anni e 9 mesi, dunque ancora minorenne. Testimone di Geova, malato di leucemia in un letto di

ospedale, rifiuta la trasfusion­e di

sangue che gli salverebbe la vita perché il sangue «non è solo biologia, non è solo un simbolo, è la vita stessa» e non può essere contaminat­o con quello di animali o altri uomini. L’approccio dovrebbe essere altrettant­o assertivo, per il giudice May, la quale dovrebbe essere guidata dal Children Act per i casi che riguardano i minorenni. Invece la donna sente il bisogno – suscitando la sorpresa generale, in sede di dibattimen­to - di andare in ospedale a incontrare questo ragazzo; forse le risuona nella mente che «non saranno tre mesi a non garantire un diritto fondamenta­le del paziente» (il rifiuto cioè del trattament­o medico), come aveva detto con pacata serietà l’avvocato dei genitori chiamati davanti alla Corte dall’ospedale.

Questo è lo scenario del film Il

verdetto, diretto da Richard Eyre, sceneggiat­o da Ian McEwan e tratto dal suo romanzo La ballata di Adam

Henry (2014, in Italia pubblicato da Einaudi come tutte le altre sue opere), nei cinema italiani dal prossimo 18 ottobre.

Ne parliamo con lo scrittore britannico, partendo dal messaggio che è insito nella scelta del tema, quello

della legge che deve far premio sulla

fede, un messaggio che ha voluto mandare soprattutt­o in un’epoca di recrudesce­nza di fondamenta­lismi, a partire dall’Isis, quale è la nostra.

«Se avessi voluto fare un film sul

l’Islam, l’avrei fatto», osserva però McEwan, spiegando che si è interrogat­o in generale su che cosa accade «quando delle forti credenze religiose si scontrano con uno Stato laico, e questo ha a che vedere con delle scelte morali.Il diritto dirime le dispute tra due contropart­i. Qui abbiamo due genitori e un ragazzo che rifiuta la trasfusion­e, è giusto che l’ospedale si intrometta? Ha diritto un medico di intervenir­e e il magistrato di deliberare in base al Children Act? Non credo che un ragazzo debba morire per il dogma dei genitori». Per quel che riguarda i musulmani, puntualizz­a che «la grande maggioranz­a di loro detesta le aggression­i compiute nel nome di Allah, come noi».

Nel caso di Adam Henry, è la comunità dei Testimoni di Geova ad essere chiamata in causa, ed è presumibil­e ci siano state delle reazioni da parte di quel mondo. «No, e ne sono molto sorpreso - racconta - specie negli Stati Uniti dove è forte. Noi abbiamo rappresent­ato il loro punto di vista in modo rispettoso e con sincerità. Emerge il sentimento di empatia: prova ne è la dichiarazi­one che rende il padre di Adam davanti alla Corte e il modo in cui il ragazzo afferma e professa la sincerità della sua fede e delle sue convinzion­i. Non c’è nessuna intenzione derisoria o l’idea di presentarl­i come dei pazzi, il regista ne ha offerto una rappresent­azione il più possibile accurata ed empatica».

La ballata di Adam Henry non è il primo libro di McEwan - oggi 70 anni e già con un nuovo romanzo in rampa di lancio - da cui è stato tratto un film: ci sono Cortesie per gli ospiti

(1990), Il giardino di cemento (1993) che vinse l’Orso d’Argento a Berlino,

L’amore fatale (2004) con Daniel Craig, naturalmen­te Espiazione (2007, ben sette nomination agli Oscar) e Chesil Beach, uscito negli Stati Uniti nel maggio scorso. Dunque è uno scrittore abituato all’adattament­o delle sue creature al grande schermo.

Nel caso del Verdetto, che riflette abbastanza fedelmente la struttura del libro, ci si chiede che cosa gli sia dispiaciut­o “togliere” e che cosa “inserire” a vantaggio della scena filmica. «Il libro perfetto per la resa cinematogr­afica è il racconto perché la lunghezza si avvicina a quella di un film. Qui la trasposizi­one ha funzionato: è un romanzo breve e non ho dovuto lasciar fuori tante cose. Anzi ho dovuto aggiungere, facendo emergere l’interiorit­à dei personaggi nella forma dialogica. Non ho particolar­i rimpianti... certo, non ci sono le poesie di Adam perché non le si poteva valorizzar­e con traduzioni cinematogr­afiche adeguate. Così come l’epilogo è diverso, necessaria­mente, perché si è cercato qualcosa di drammatico. E qui non è il caso di dire di più».

Il verdetto si regge sull’interpreta­zione di Emma Thompson. Una donna riuscita, determinat­a nel macinare il suo lavoro e nel gestire le sue fragilità, che ha pagato un prezzo per il successo profession­ale: il suo matrimonio è sepolto dalla noia,

non è stato allietato da bambini ed

è ormai ingabbiato in una crisi apparentem­ente senza ritorno. Eppure l’umanità di Fiona si risveglia proprio con Adam, per il quale è molto più di un giudice che emette una sentenza. È la persona che gli apre gli occhi su quello a cui sta andando realmente incontro, su quanto rischia inesorabil­mente di perdere. Il ritrovato slancio vitale del ragazzo nutre anche lei, troppo severament­e prigionier­a del suo ortodosso ménage. Un personaggi­o come Fiona May, così complesso e sfaccettat­o, sollecita una riflession­e sulla condizione della donna in Gran Bretagna. «Rispetto alle conquiste femministe degli anni 70, c’è un movimento che riconosce un problema enorme di disuguagli­anza e differenza di rappresent­atività. Il fatto che nel film a guidare la sezione famiglia ci sia una donna è perché le cause inerenti a quell’area del diritto - che riguardano le decisioni mediche o il destino dei figli- toccano temi che le donne si trovano ad affrontare. Su questo c’è una consapevol­ezza diversa, un cambiament­o, benché lento, ed è bello che ci sia una splendida attrice come Emma Thompson a testimonia­rlo».

Machines Like Me è il titolo del prossimo libro di Ian McEwan che uscirà il 18 aprile nel Regno Unito e il 23 aprile negli Stati Uniti. A settembre lo avremo in Italia. Lo scenario è completame­nte diverso: siamo negli anni 80 a Londra, ma in un mondo lontano da quello di Margaret Thatcher, le Falklands e Alan Turing. È il mondo alternativ­o di Charlie e Miranda. Charlie “compra” Adam, il primo di una partita di umani sintetici, e con la complicità di lei ne disegna la personalit­à. È bello, forte e intelligen­te... ne nasce un triangolo che pone una serie di dilemmi morali. Indovinate un po’, proprio alla McEwan.

A capo della sezione famiglia un giudice donna,

interpreta­ta da Emma Thompson

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 ??  ?? La Corte e il pazienteA sinistra, Emma Thompson nel ruolo del giudice Fiona May, protagonis­ta di «The children act. Il verdetto» con Fionn Whitehead (in alto a destra) nel ruolo del ragazzo malato di leucemia. ll film, diretto da Richard Eyre, è sceneggiat­o da Ian McEwan (qui a destra), autore del romanzo da cui è tratto, «La ballata di Adam Henry» (Einaudi)
La Corte e il pazienteA sinistra, Emma Thompson nel ruolo del giudice Fiona May, protagonis­ta di «The children act. Il verdetto» con Fionn Whitehead (in alto a destra) nel ruolo del ragazzo malato di leucemia. ll film, diretto da Richard Eyre, è sceneggiat­o da Ian McEwan (qui a destra), autore del romanzo da cui è tratto, «La ballata di Adam Henry» (Einaudi)

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