Le parole del poeta nella selva oscura di internet
Che Dante sia il padre della lingua italiana è cosa talmente nota da essere divenuta uno slogan. Da un lato la sua opera, con la Commedia in particolare, rappresenta se non la prima, certo la più imponente prova letteraria delle nostre Origini; da un altro, le straordinarie invenzioni linguistiche di Dante hanno lasciato in eredità all’italiano dei secoli seguenti, e ancora al nostro, una quantità ingente di termini e locuzioni che impieghiamo ogni giorno senza nemmeno renderci conto di citarlo, o comunque di continuare a costruire con i suoi mattoni. Senza contare che allo stesso Dante si deve con il De vulgari eloquentia la prima proposta su che cosa l’italiano possa e debba essere: una lingua nobilmente selezionata per la letteratura, distaccata dall’adesione puntuale a questo o quel dialetto municipale (compreso quello dell’ingrata Firenze), e capace di dare alla Penisola quell’unità culturale che la politica le negherà ancora a lungo.
Pare strano che di fronte a tali benemerenze nessuno avesse ancora pensato di riversare l’insieme delle parole che costituiscono l’opera di Dante in un vocabolario a lui riservato. Già nel Rinascimento, in effetti, qualcuno ne fece tesoro (ad esempio il Niccolò Liburnio autore nel 1526 di un pionieristico lessico dei classici italiani), ma sempre assieme alle altre due corone della letteratura medievale, Petrarca e Boccaccio, che invero hanno goduto di maggiore fortuna in grammatiche e dizionari. Un Vocabolario dantesco è stato ora varato per l’iniziativa dell'Accademia della Crusca e dell’Opera del Vocabolario Italiano del Cnr di Firenze, che lo hanno presentato nella sede di entrambi gli istituti, la Villa Medicea di Castello.
Il lessico dantesco non coincide, ovviamente, con quello censito dall’Istituto del Cnr diretto da Lino Leonardi, che nel suo Tesoro della Lingua italiana delle Origini appena giunto al traguardo delle 40mila voci (tutte consultabili in linea) punta a dar conto di tutto il patrimonio lessicale dell’italiano – inteso, dantescamente, come somma dei volgari d’Italia – fino alla fine del Trecento. Ma le parole di Dante non sono nemmeno solo un semplice sottoinsieme di quel Tesoro. Concentrarsi sulle parole della Commedia e delle altre opere di Dante significa integrare, da una prospettiva nuova e con strumenti finora indisponibili, quella Enciclopedia dantesca che la Treccani realizzò negli anni Settanta del secolo scorso. In quel caso si trattava di discutere criticamente soprattutto i concetti, le idee portanti, i personaggi e i fatti dell’opera dantesca; in questo, l’obiettivo è inventariare compiutamente il materiale verbale di Dante misurandone la posizione nel contesto dell’italiano antico e la tenuta odierna. Una volta ultimato (per ora sono consultabili solo alcune voci di saggio, anch’esse disponibili in linea nel sito del progetto), il Vocabolario Dantesco servirà ad esempio a verificare una delle idee più resistenti e al tempo stesso controverse della cultura italiana. È quella secondo cui tra la lingua di Dante e l’italiano che parliamo oggi vi sarebbe uno scarto molto minore rispetto a quello che separa ad esempio il francese di allora e quello di oggi. Ma è proprio così? La risposta varia al variare degli elementi presi in considerazione, per cui se si guarda ad esempio alla sintassi bisogna ammettere che non sono mancati mutamenti strutturali profondi. Ma se appunto ci si rivolge al lessico, l’impressione di vicinanza ne risulta rafforzata, grazie soprattutto a quel vasto contingente di latinismi più o meno intatti che già all’epoca di Dante innervavano la lingua volgare non appena essa si sollevava verso un discorso non quotidiano, e che ancora oggi sono l’asse portante di qualsiasi testo italiano intellettualmente articolato. Certo, molte delle parole di Dante hanno nei secoli mutato o alterato il loro significato, e proprio di tali accidenti della storia il
Vocabolario dantesco darà certo conto, come di recente ha fatto la sua architetta, Paola Manni, illustrando la deriva della parola mesto dal senso ancora dantesco di “cupamente disperato” (è la «mesta selva» di Inferno XIII) a quello odierno più attenuato, di semplicemente “triste” o “malinconico”: è uno slittamento che iniziò già con Boccaccio, «che – sono parole della stessa Manni – come accade tante volte, riprende voci ed espressioni dantesche trasferendole in contesti erotici che inevitabilmente le straniano dal significato primitivo». Nel passaggio dal contesto infernale a quello amoroso più tipico della nostra letteratura successiva, insomma,
càpita che il lessico dantesco perda una parte del suo nerbo drammatico.
C'è da sperare che, affiancandosi all’altro più grande vocabolario, il Tesoro della lingua italiana delle Origini
di cui di fatto rappresenta una filiazione, il Vocabolario dantesco non sarà solo l’ennesimo monumento a Dante eretto dall’Italia o da qualcuna delle società dantesche (come la Deutsche Dante-Gesellschaft o la Dante Society of America) che partecipano all'impresa. Non un medaglione inerte, ma uno strumento di lavoro e di studio per chi ancora pensa che nella selva oscura di internet valga la pena di tornare a cercare anche le parole del sommo poeta.
VOCABOLARIO DANTESCO
Un progetto dell'Accademia della Crusca in collaborazione con l'Istituto Cnr Opera del Vocabolario italiano (OVI), www.vocabolariodantesco.it; «Tesoro della lingua italiana delle origini», un progetto del Cnr, www.vocabolario.org