Tic e opposti stilemi dei nativi digitali
Come facce di una stessa medaglia dispersa in un sacchetto di monetine che, inflazionate, non hanno più un valore attribuibile ma sono solo segni di un tempo per lo più indecifrabile, due giovani amici, Raffaele e Fabio, sono i protagonisti del romanzo di Gregorio Magini, Cometa. Raffaele è un satiro ossessionato dalla propria ipersessualità che giorno dopo giorno, e fin dall’infanzia, si fa metro unico del proprio quotidiano; al contrario Fabio, tecnico informatico e nerd dai tratti infantili e genialmente autistici, sublima il sesso costruendo mondi fantastici che sviluppa in rete. Le loro esistenze scorrono distanti e su poli opposti per avvitarsi invariabilmente in una spirale ossessiva di stentata ricerca e smarrimento identitario. «Sapevano ch’è normale entrare in età adulta rallentando, come rallenta il fiume quando raggiunge la pianura, e di questa tradizione si accontentavano, pur senza rinunciare a rileggerla a modo loro: Raffaele accasandosi con una ragazza che soddisfaceva - così diceva- ogni suo desiderio, eccetto quello di portare nel letto altre donne, e anche quello, a voler cercare il pelo nell’uovo, di ricevere frequenti massaggi prostatici; Fabio tornando a stare con mamma. Ci stava così bene che aveva giurato di non allontanarsene più. Si arrabattava con le blockchain e accarezzava l’ipotesi di aprire un negozio di fumetti». E ancora «di amici non ne avevano più; tutta l’orbita della loro vita sociale era ormai conchiusa all’interno delle frequentazioni domestiche. Si vedevano raramente e si tenevano in contatto via chat, perlopiù scambiandosi meme». Un’amicizia dagli incontri rarefatti e anomali, che il narratore Raffaele rende volutamente impervia e disorientante, come senza bussola e con continui cambi di registro sono le costruzioni linguistiche, quasi tasselli alla Escher, che Mongini inscrive in un altalenarsi di piani dal ricercato al banale, che slittano e smottano in maniera casuale e contrallata al contempo. «L’onda si ritirò verso il centro del prato, trascinandoci con sé e ci depositò sotto la fonte della musica: una palafitta di legno, dal cui fronte uscì e si dispiegò una raggiera di quattro bracci a zampa di ragno, archi di diverse decine di metri che formarono lo scheletro di una cupola. Tra un braccio e l’altro si tesero cavi di sostegno e drappi decorativi di colori fosforescenti. La baracca si aprì dal lato del duomo di stracci, ne fuoriscirono trottole, giroscopi e vari altri oggetti tecnologici». Quanto alla trama, non aiuta nel suo essere consustanziale agli ottundenti percorsi mentali dei due protagonisti che solo il sarcasmo e l’ironia sottostante incasellano a tratti in questo romanzo disincantato che molto deve all’illusione virtualmente tipizzata dalla rete e che ricorda, per echi, i Giochi di ruolo di Vanni Santoni. «La cosa che mi salva è che non ho alcuna personalità, dentro di me ci sono solo mille personaggi che si scrutano a vicenda». Cometa è alfine un romanzo sull’inanità: il suo nord è infantilmente asessuato, il sud erotico e super-erotizzato, e anche se talvolta l’asse su cui gira si perde in forzature di autocompiacimenti «millennials» (forse per paura di non essere «abbastanza giovane»?), mette a fuoco con sagacia l’insensatezza che pervade quotidiano, tic e stilemi connotativi di gran parte della generazione dei nativi digitali.