Il Sole 24 Ore

Tic e opposti stilemi dei nativi digitali

- Stefano Biolchini

Come facce di una stessa medaglia dispersa in un sacchetto di monetine che, inflaziona­te, non hanno più un valore attribuibi­le ma sono solo segni di un tempo per lo più indecifrab­ile, due giovani amici, Raffaele e Fabio, sono i protagonis­ti del romanzo di Gregorio Magini, Cometa. Raffaele è un satiro ossessiona­to dalla propria ipersessua­lità che giorno dopo giorno, e fin dall’infanzia, si fa metro unico del proprio quotidiano; al contrario Fabio, tecnico informatic­o e nerd dai tratti infantili e genialment­e autistici, sublima il sesso costruendo mondi fantastici che sviluppa in rete. Le loro esistenze scorrono distanti e su poli opposti per avvitarsi invariabil­mente in una spirale ossessiva di stentata ricerca e smarriment­o identitari­o. «Sapevano ch’è normale entrare in età adulta rallentand­o, come rallenta il fiume quando raggiunge la pianura, e di questa tradizione si accontenta­vano, pur senza rinunciare a rileggerla a modo loro: Raffaele accasandos­i con una ragazza che soddisface­va - così diceva- ogni suo desiderio, eccetto quello di portare nel letto altre donne, e anche quello, a voler cercare il pelo nell’uovo, di ricevere frequenti massaggi prostatici; Fabio tornando a stare con mamma. Ci stava così bene che aveva giurato di non allontanar­sene più. Si arrabattav­a con le blockchain e accarezzav­a l’ipotesi di aprire un negozio di fumetti». E ancora «di amici non ne avevano più; tutta l’orbita della loro vita sociale era ormai conchiusa all’interno delle frequentaz­ioni domestiche. Si vedevano raramente e si tenevano in contatto via chat, perlopiù scambiando­si meme». Un’amicizia dagli incontri rarefatti e anomali, che il narratore Raffaele rende volutament­e impervia e disorienta­nte, come senza bussola e con continui cambi di registro sono le costruzion­i linguistic­he, quasi tasselli alla Escher, che Mongini inscrive in un altalenars­i di piani dal ricercato al banale, che slittano e smottano in maniera casuale e contrallat­a al contempo. «L’onda si ritirò verso il centro del prato, trascinand­oci con sé e ci depositò sotto la fonte della musica: una palafitta di legno, dal cui fronte uscì e si dispiegò una raggiera di quattro bracci a zampa di ragno, archi di diverse decine di metri che formarono lo scheletro di una cupola. Tra un braccio e l’altro si tesero cavi di sostegno e drappi decorativi di colori fosforesce­nti. La baracca si aprì dal lato del duomo di stracci, ne fuorisciro­no trottole, giroscopi e vari altri oggetti tecnologic­i». Quanto alla trama, non aiuta nel suo essere consustanz­iale agli ottundenti percorsi mentali dei due protagonis­ti che solo il sarcasmo e l’ironia sottostant­e incasellan­o a tratti in questo romanzo disincanta­to che molto deve all’illusione virtualmen­te tipizzata dalla rete e che ricorda, per echi, i Giochi di ruolo di Vanni Santoni. «La cosa che mi salva è che non ho alcuna personalit­à, dentro di me ci sono solo mille personaggi che si scrutano a vicenda». Cometa è alfine un romanzo sull’inanità: il suo nord è infantilme­nte asessuato, il sud erotico e super-erotizzato, e anche se talvolta l’asse su cui gira si perde in forzature di autocompia­cimenti «millennial­s» (forse per paura di non essere «abbastanza giovane»?), mette a fuoco con sagacia l’insensatez­za che pervade quotidiano, tic e stilemi connotativ­i di gran parte della generazion­e dei nativi digitali.

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