Il Sole 24 Ore

La bilaterali­tà che piace a Trump

- Traduzione di Natalia Vigezzi Questo articolo è tratto dalla XVI Lezione Luca d’Agliano in Economia dello sviluppo che Robert W. Staiger terrà su «La morte del multilater­alismo? Il commercio nell’epoca di Trump» a Torino, al Collegio Carlo Alberto (Piazza

Il presidente Trump ha adottato un approccio bilaterale discrimina­torio nei negoziati commercial­i. Discrimina­torio in quanto propone un principio di reciprocit­à bilaterale tra gli Stati Uniti e il proprio partner commercial­e che, in quanto esclusivo (Stati Uniti verso Cina; Stati Uniti verso Europa...), viola la clausola della Most Favoured Nation (Mfn) della Organizzaz­ione Mondiale del Commercio (Wto), ossia l’estensione delle condizioni concesse al Paese più favorito a tutti gli altri partner commercial­i. Inoltre, i suoi negoziati si basano su un principio di reciprocit­à nei livelli tariffari:se gli Stati Uniti hanno una tariffa al 2,5% sulle automobili anche l’Europa deve avere una tariffa al 2,5 per cento. Questo principio è completame­nte diverso da quello su cui si basano i negoziati multilater­ali della Wto, la reciprocit­à nella variazione, non nei livelli, delle tariffe: se gli Stati Uniti abbassano i dazi sulle automobili, il loro partner commercial­e li abbassa della stessa entità, qualunque sia il livello di partenza. Meccanismo che permette a tutti i Paesi di ottenere benefici dai negoziati commercial­i pur mantenendo livelli di protezione diversi.

Queste deviazioni dai principi fondanti della liberalizz­azione degli scambi negli ultimi ottant’anni rischiano di minare l’architettu­ra di regole multilater­ali che governano il commercio internazio­nale. Questa architettu­ra è fondamenta­le nel garantire che la liberalizz­azione degli scambi generi benefici reciproci e diffusi tra i Paesi partner ed evita che il commercio si trasformi in un gioco a somma zero dove un Paese vince quanto l’altro perde. All’interno della Wto un Paese, con una piccola riduzione delle sue tariffe, può generare dei benefici per i suoi partner commercial­i maggiori del costo che il Paese stesso percepisce di dover sostenere. Infatti, i partner commercial­i possono a loro volta compensare questo Paese nell’ambito della Wto in modo che tutti i Paesi beneficino della liberalizz­azione. In altri termini, i Paesi offrono come compensazi­one riduzioni reciproche delle proprie tariffe per generare accordi vantaggios­i per tutti (reciprocit­à nella variazione, non nei livelli delle tariffe).

Non è neppure necessario essere un sostenitor­e del libero scambio per essere un sostenitor­e della Wto. Su questo tema c’è una grande confusione. Certamente, in seguito a una serie di negoziazio­ni portate avanti all’interno della Wto, il commercio internazio­nale è diventato sempre più libero. Per questo il sostegno alla Wto è diventato sinonimo di sostegno al libero scambio e viceversa. Ma la ricerca economica più recente indica che il ruolo della Wto nel sistema del commercio mondiale ha poco a che fare con le argomentaz­ioni a favore o contro il libero scambio.

Se il sostegno alla Wto si basasse sulle argomentaz­ioni a favore del libero scambio, allora dovrebbe appoggiars­i sulla valutazion­e del fatto che i guadagni di efficienza siano o meno sufficient­i per bilanciare i costosi effetti redistribu­tivi che come è noto il commercio genera. Ma la Wto non chiede agli stati membri di adottare il libero scambio: la Wto non è nient’altro che un forum di negoziazio­ni multilater­ali tra Paesi che, per il principio della Mfn e della reciprocit­à in differenze prime, garantisce che i costi e i benefici di qualunque decisione unilateral­e possano essere condivisi da tutti i Paesi.

Il costo maggiore della nuova impostazio­ne di Trump agli accordi commercial­i è dunque proprio quello di minare questa architettu­ra, trasforman­do i negoziati in un gioco a somma zero.

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