La bilateralità che piace a Trump
Il presidente Trump ha adottato un approccio bilaterale discriminatorio nei negoziati commerciali. Discriminatorio in quanto propone un principio di reciprocità bilaterale tra gli Stati Uniti e il proprio partner commerciale che, in quanto esclusivo (Stati Uniti verso Cina; Stati Uniti verso Europa...), viola la clausola della Most Favoured Nation (Mfn) della Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), ossia l’estensione delle condizioni concesse al Paese più favorito a tutti gli altri partner commerciali. Inoltre, i suoi negoziati si basano su un principio di reciprocità nei livelli tariffari:se gli Stati Uniti hanno una tariffa al 2,5% sulle automobili anche l’Europa deve avere una tariffa al 2,5 per cento. Questo principio è completamente diverso da quello su cui si basano i negoziati multilaterali della Wto, la reciprocità nella variazione, non nei livelli, delle tariffe: se gli Stati Uniti abbassano i dazi sulle automobili, il loro partner commerciale li abbassa della stessa entità, qualunque sia il livello di partenza. Meccanismo che permette a tutti i Paesi di ottenere benefici dai negoziati commerciali pur mantenendo livelli di protezione diversi.
Queste deviazioni dai principi fondanti della liberalizzazione degli scambi negli ultimi ottant’anni rischiano di minare l’architettura di regole multilaterali che governano il commercio internazionale. Questa architettura è fondamentale nel garantire che la liberalizzazione degli scambi generi benefici reciproci e diffusi tra i Paesi partner ed evita che il commercio si trasformi in un gioco a somma zero dove un Paese vince quanto l’altro perde. All’interno della Wto un Paese, con una piccola riduzione delle sue tariffe, può generare dei benefici per i suoi partner commerciali maggiori del costo che il Paese stesso percepisce di dover sostenere. Infatti, i partner commerciali possono a loro volta compensare questo Paese nell’ambito della Wto in modo che tutti i Paesi beneficino della liberalizzazione. In altri termini, i Paesi offrono come compensazione riduzioni reciproche delle proprie tariffe per generare accordi vantaggiosi per tutti (reciprocità nella variazione, non nei livelli delle tariffe).
Non è neppure necessario essere un sostenitore del libero scambio per essere un sostenitore della Wto. Su questo tema c’è una grande confusione. Certamente, in seguito a una serie di negoziazioni portate avanti all’interno della Wto, il commercio internazionale è diventato sempre più libero. Per questo il sostegno alla Wto è diventato sinonimo di sostegno al libero scambio e viceversa. Ma la ricerca economica più recente indica che il ruolo della Wto nel sistema del commercio mondiale ha poco a che fare con le argomentazioni a favore o contro il libero scambio.
Se il sostegno alla Wto si basasse sulle argomentazioni a favore del libero scambio, allora dovrebbe appoggiarsi sulla valutazione del fatto che i guadagni di efficienza siano o meno sufficienti per bilanciare i costosi effetti redistributivi che come è noto il commercio genera. Ma la Wto non chiede agli stati membri di adottare il libero scambio: la Wto non è nient’altro che un forum di negoziazioni multilaterali tra Paesi che, per il principio della Mfn e della reciprocità in differenze prime, garantisce che i costi e i benefici di qualunque decisione unilaterale possano essere condivisi da tutti i Paesi.
Il costo maggiore della nuova impostazione di Trump agli accordi commerciali è dunque proprio quello di minare questa architettura, trasformando i negoziati in un gioco a somma zero.