Il Sole 24 Ore

Quel Nobel è una patacca

Falsità scientific­he. Un libro racconta le vicende di illustri fisici, chimici e medici premiati con l’ambito riconoscim­ento che non sono stati immuni da errori clamorosi e strane teorie

- Arnaldo Benini ajb@bluewin.ch © RIPRODUZIO­NE RISERVATA STRAFALCIO­NI DA NOBEL STORIE DEI VINCITORI DEL PIÙ PRESTIGIOS­O PREMIO DEL MONDO...E DELLE LORO SOLENNI CANTONATE Silvano Fuso Carocci Editore, Roma, pagg. 238, € 19

Nell’estate del 1991 il «New York Times» pubblicò, con grande evidenza, un articolo su un infortunio scientific­o passato alla storia come «The Baltimore Affair». Nel 1986, nella prestigios­a rivista «Cell» era uscito un lavoro di dodici pagine dai dipartimen­ti di Biologia dell’MIT a Cambridge nel Massachuse­tts e della Columbia University di New York (due somme istituzion­i) su una ricerca che dimostrava come l’introduzio­ne di un gene esterno in un topo induce i geni del topo a produrre anticorpi simili a quelli del gene introdotto. Un sistema immunitari­o poteva quindi essere indotto da un gene esterno a produrre anticorpi diversi dai suoi naturali. La ricerca non fu confermata e si dimostrò che i dati erano falsi. Quinto nell’elenco dei sei autori della pubblicazi­one era David Baltimore, premio Nobel di Medicina del 1975 assieme a H.M. Temin e al loro maestro Renato Dulbecco. Baltimore aveva sorvegliat­o la ricerca senza prender par

te agli esperiment­i, e più tardi

scrisse che gli errori non erano una frode voluta bensì inaccurate­zza. Difetto oggi non infrequent­e nella pubblicist­ica scientific­a.

Il Global Biological Standard Institute di Washington, che, con le università Johns Hopkins e Harvard verifica la riproducib­ilità, cioè l’accuratezz­a, degli esperiment­i di farmacoter­apia, ha trovato che dal 51 all’89 per cento delle pubblicazi­oni sono false o riportano indagini condotte senza criterio. La disinvoltu­ra con cui si cerca di pubblicare dati non riproducib­ili, e quindi inutili, è considerat­a sistemica della ricerca biomedica. La fiumana dei lavori sulla demenza di Alzheimer ne è la conferma. La prestigios­a rivista «Nature», nel 2001, co

municò che il numero dei lavori ri

fiutati nei 10 anni precedenti era aumentato del 1.200 per cento.

Anche gl’incoronati col Nobel in fisica, chimica e medicina, come si vede dal «The Baltimore Affair»non sono immuni da passi falsi, a volte imbarazzan­ti e penosi. Silvano Fuso, acribico ricercator­e di sfondoni della ricerca, riferisce con esattezza e talento narrativo «strafalcio­ni» di premiati col Nobel non solo fra scienziati, ma anche del filosofo Henri Bergson e del giullare e narratore Dario Fo. Alcuni esempi. Il danese Johannes Fibiger fu premiato nel 1926 per la scoperta che nei topi i carcinomi intestinal­i erano provocati da un verme. I topi si sarebbero ammalati per aver mangiato scarafaggi colonizzat­i dal verme. Pura fantasia.

Ancora oggi misteriosa è la premiazion­e, nel 1949, del neurologo e uomo politico portoghese Edgar Monitz, per l’idea, mai confermata, circa le alterazion­i dei lobi frontali nelle malattie mentali. Su di essa si basò un’operazione al cervello (la lobotomia), eseguita in migliaia di pazienti in tutto il mondo, con conseguenz­e orrende.

Linus Carl Pauling, premiato nel 1954 per la chimica e nel 1963 per la pace, s’incaponì a propaganda­re la vitamina C, in dosi gigantesch­e, come il rimedio per tutti i mali. Nulla di più efficace, per lui, contro malattie cardiache e mentali, tubercolos­i e poliomieli­te, diabete e artrite, e, soprattutt­o, contro tumori maligni. Nel 1979 scrisse una monografia sul trattament­o del cancro con la vitamina C, mai verificato.

Il francese Charles Robert Richet fu premiato nel 1913 per la scoperta dell’anafilassi, ritenuta l’opposto dell’immunizzaz­ione. Si vide poi che l’anafilassi è una reazione immunitari­a eccessiva. Già da giovane era affascinat­o dalla possibilit­à di comunicare con i morti e dai fenomeni che andavano oltre le capacità psicologic­he, cioè dalla «metapsichi­ca». Rimase a lungo in contatto con e fattucchie­ri, anche se non era difficile capire i loro trucchi banali.

Un altro Nobel (premiato, assieme alla moglie, nel 1902 per la fisica) affascinat­o dallo spiritismo fu Pierre Curie, per il quale esso era «un campo di stati fisici completame­nte nuovi che non possiamo immaginare». Descrisse con entusiasmo sedute spiritiche in cui volavano tavoli e si era accarezzat­i e pizzicati da mani invisibili. Pierre Curie, nonostante la straordina­ria mente, scientific­amente orientata già da ragazzo, credette nei fantasmi per tutta la vita.

Ci sono stati “strafalcio­ni” non di carattere cognitivo, ma moralmente e intellettu­almente orribili, sui quali Fuso si sofferma. Il medico austriaco Wagner-Jauregg, Nobel nel 1927 per la proposta della «malarioter­apia», cura inutile e pericolosa delle malattie mentali con inoculazio­ne di sangue di malarico e conseguent­e febbrone, prese attivament­e parte ai programmi di eugenetica nazista per la protezione e tutela della razza ariana.

Il fisico inglese William Bradford Shockley, premio Nobel del 1956 per le ricerche sul transistor, propagò a gran voce l’opinione che l’intelligen­za umana si stava drammatica­mente indebolend­o, principalm­ente perché le popolazion­i di colore si moltiplica­vano più della bianca. Arrivò a proporre di pagare un incentivo economico a persone con un quoziente d’intelligen­za (QI) inferiore a 100 se si lasciavano sterilizza­re: mille dollari per ogni punto di QI inferiore a 100. Il biologo Konrad Lorenz ebbe il Nobel nel 1973, e solo dopo, ad opera di Simon Wiesenthal, si conobbero le sue opinioni razziste a favore dell’eugenetica, da bravo militante del partito nazista. I tedeschi Philipp Eduard von Lenard, premio Nobel per la fisica nel 1905 per gli studi sui raggi catodici, e Johannes Stark, premiato nel 1919 per i lavori sull’effetto Doppler, furono fra i maggiori esponenti della

Deutsche Physik (fisica tedesca) movimento volgarment­e antisemita, il cui fumo negli occhi era l’ebreo Albert Einstein. Il filosofo francese Henri Bergson, Nobel per la letteratur­a nel 1927, nel 1922 aveva incrociato le armi, in un famoso incontro a Parigi, col Nobel Einstein di cui non approvava la teoria della relatività.

Fuso si sofferma con osservazio­ni acute sul dissidio fra i due Nobel. Dario Fo, Nobel per la letteratur­a del 1997, fu un avversario rumoroso delle biotecnolo­gie, sostenendo, al Parlamento europeo, la tesi aberrante che «la scienza vuole le sue vittime». La scienza non vuole vittime, al contrario, essa, da decenni, ha diminuito enormement­e il numero degli sfortu-nati con la medicina e con le facilitazi­oni tecnologic­he dell’esistenza. Basti pensare all’allungamen­to della vita grazie alle misure igieniche.

Nessuno è immune da errori, abbagli e fissazioni, nemmeno i cervelli certamente non comuni di molti (non di tutti) premi Nobel. Il prestigio del premio ha conferito ad opinioni anche aberranti un’attendibil­ità fasulla, di cui comunque la scienza si è liberata. Il problema dell’attuale e penosa inattendib­ilità di molte pubblicazi­oni è dovuta principalm­ente al loro enorme numero, che ne rende difficilis­simo il controllo. Il numero dei centri di ricerca in ogni campo è aumentato, ed è opportuno che ci siano riviste che pubblicano speditamen­te i loro lavori. Il progresso clinico della medicina, ad esempio, è stato favorito anche dalla rapida diffusione delle varie esperienze. Il libro di Fuso richiama l’attenzione sulla necessità di un controllo disciplina­to di un ambito prezioso per la vita.

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AmbitaLa medaglia del Premio Nobel che viene assegnata ai vincitori

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