Quel Nobel è una patacca
Falsità scientifiche. Un libro racconta le vicende di illustri fisici, chimici e medici premiati con l’ambito riconoscimento che non sono stati immuni da errori clamorosi e strane teorie
Nell’estate del 1991 il «New York Times» pubblicò, con grande evidenza, un articolo su un infortunio scientifico passato alla storia come «The Baltimore Affair». Nel 1986, nella prestigiosa rivista «Cell» era uscito un lavoro di dodici pagine dai dipartimenti di Biologia dell’MIT a Cambridge nel Massachusetts e della Columbia University di New York (due somme istituzioni) su una ricerca che dimostrava come l’introduzione di un gene esterno in un topo induce i geni del topo a produrre anticorpi simili a quelli del gene introdotto. Un sistema immunitario poteva quindi essere indotto da un gene esterno a produrre anticorpi diversi dai suoi naturali. La ricerca non fu confermata e si dimostrò che i dati erano falsi. Quinto nell’elenco dei sei autori della pubblicazione era David Baltimore, premio Nobel di Medicina del 1975 assieme a H.M. Temin e al loro maestro Renato Dulbecco. Baltimore aveva sorvegliato la ricerca senza prender par
te agli esperimenti, e più tardi
scrisse che gli errori non erano una frode voluta bensì inaccuratezza. Difetto oggi non infrequente nella pubblicistica scientifica.
Il Global Biological Standard Institute di Washington, che, con le università Johns Hopkins e Harvard verifica la riproducibilità, cioè l’accuratezza, degli esperimenti di farmacoterapia, ha trovato che dal 51 all’89 per cento delle pubblicazioni sono false o riportano indagini condotte senza criterio. La disinvoltura con cui si cerca di pubblicare dati non riproducibili, e quindi inutili, è considerata sistemica della ricerca biomedica. La fiumana dei lavori sulla demenza di Alzheimer ne è la conferma. La prestigiosa rivista «Nature», nel 2001, co
municò che il numero dei lavori ri
fiutati nei 10 anni precedenti era aumentato del 1.200 per cento.
Anche gl’incoronati col Nobel in fisica, chimica e medicina, come si vede dal «The Baltimore Affair»non sono immuni da passi falsi, a volte imbarazzanti e penosi. Silvano Fuso, acribico ricercatore di sfondoni della ricerca, riferisce con esattezza e talento narrativo «strafalcioni» di premiati col Nobel non solo fra scienziati, ma anche del filosofo Henri Bergson e del giullare e narratore Dario Fo. Alcuni esempi. Il danese Johannes Fibiger fu premiato nel 1926 per la scoperta che nei topi i carcinomi intestinali erano provocati da un verme. I topi si sarebbero ammalati per aver mangiato scarafaggi colonizzati dal verme. Pura fantasia.
Ancora oggi misteriosa è la premiazione, nel 1949, del neurologo e uomo politico portoghese Edgar Monitz, per l’idea, mai confermata, circa le alterazioni dei lobi frontali nelle malattie mentali. Su di essa si basò un’operazione al cervello (la lobotomia), eseguita in migliaia di pazienti in tutto il mondo, con conseguenze orrende.
Linus Carl Pauling, premiato nel 1954 per la chimica e nel 1963 per la pace, s’incaponì a propagandare la vitamina C, in dosi gigantesche, come il rimedio per tutti i mali. Nulla di più efficace, per lui, contro malattie cardiache e mentali, tubercolosi e poliomielite, diabete e artrite, e, soprattutto, contro tumori maligni. Nel 1979 scrisse una monografia sul trattamento del cancro con la vitamina C, mai verificato.
Il francese Charles Robert Richet fu premiato nel 1913 per la scoperta dell’anafilassi, ritenuta l’opposto dell’immunizzazione. Si vide poi che l’anafilassi è una reazione immunitaria eccessiva. Già da giovane era affascinato dalla possibilità di comunicare con i morti e dai fenomeni che andavano oltre le capacità psicologiche, cioè dalla «metapsichica». Rimase a lungo in contatto con e fattucchieri, anche se non era difficile capire i loro trucchi banali.
Un altro Nobel (premiato, assieme alla moglie, nel 1902 per la fisica) affascinato dallo spiritismo fu Pierre Curie, per il quale esso era «un campo di stati fisici completamente nuovi che non possiamo immaginare». Descrisse con entusiasmo sedute spiritiche in cui volavano tavoli e si era accarezzati e pizzicati da mani invisibili. Pierre Curie, nonostante la straordinaria mente, scientificamente orientata già da ragazzo, credette nei fantasmi per tutta la vita.
Ci sono stati “strafalcioni” non di carattere cognitivo, ma moralmente e intellettualmente orribili, sui quali Fuso si sofferma. Il medico austriaco Wagner-Jauregg, Nobel nel 1927 per la proposta della «malarioterapia», cura inutile e pericolosa delle malattie mentali con inoculazione di sangue di malarico e conseguente febbrone, prese attivamente parte ai programmi di eugenetica nazista per la protezione e tutela della razza ariana.
Il fisico inglese William Bradford Shockley, premio Nobel del 1956 per le ricerche sul transistor, propagò a gran voce l’opinione che l’intelligenza umana si stava drammaticamente indebolendo, principalmente perché le popolazioni di colore si moltiplicavano più della bianca. Arrivò a proporre di pagare un incentivo economico a persone con un quoziente d’intelligenza (QI) inferiore a 100 se si lasciavano sterilizzare: mille dollari per ogni punto di QI inferiore a 100. Il biologo Konrad Lorenz ebbe il Nobel nel 1973, e solo dopo, ad opera di Simon Wiesenthal, si conobbero le sue opinioni razziste a favore dell’eugenetica, da bravo militante del partito nazista. I tedeschi Philipp Eduard von Lenard, premio Nobel per la fisica nel 1905 per gli studi sui raggi catodici, e Johannes Stark, premiato nel 1919 per i lavori sull’effetto Doppler, furono fra i maggiori esponenti della
Deutsche Physik (fisica tedesca) movimento volgarmente antisemita, il cui fumo negli occhi era l’ebreo Albert Einstein. Il filosofo francese Henri Bergson, Nobel per la letteratura nel 1927, nel 1922 aveva incrociato le armi, in un famoso incontro a Parigi, col Nobel Einstein di cui non approvava la teoria della relatività.
Fuso si sofferma con osservazioni acute sul dissidio fra i due Nobel. Dario Fo, Nobel per la letteratura del 1997, fu un avversario rumoroso delle biotecnologie, sostenendo, al Parlamento europeo, la tesi aberrante che «la scienza vuole le sue vittime». La scienza non vuole vittime, al contrario, essa, da decenni, ha diminuito enormemente il numero degli sfortu-nati con la medicina e con le facilitazioni tecnologiche dell’esistenza. Basti pensare all’allungamento della vita grazie alle misure igieniche.
Nessuno è immune da errori, abbagli e fissazioni, nemmeno i cervelli certamente non comuni di molti (non di tutti) premi Nobel. Il prestigio del premio ha conferito ad opinioni anche aberranti un’attendibilità fasulla, di cui comunque la scienza si è liberata. Il problema dell’attuale e penosa inattendibilità di molte pubblicazioni è dovuta principalmente al loro enorme numero, che ne rende difficilissimo il controllo. Il numero dei centri di ricerca in ogni campo è aumentato, ed è opportuno che ci siano riviste che pubblicano speditamente i loro lavori. Il progresso clinico della medicina, ad esempio, è stato favorito anche dalla rapida diffusione delle varie esperienze. Il libro di Fuso richiama l’attenzione sulla necessità di un controllo disciplinato di un ambito prezioso per la vita.