Il Sole 24 Ore

Flauto melodioso, giardinier­a sdoppiata

- Carla Moreni

Per caso debuttano un giorno dopo l’altro, i due Mozart della Scala e dell’Opera di Roma: di

qui La finta giardinier­a, di là Die Zauberflöt­e. E non si capisce perché nella Milano (moderna) sia arrivato uno spettacoli­no da Glyndebour­ne, forse il più modesto del Festival, firmato da Frederic Wake-Walker, mentre nella Capitale (conservatr­ice) abbia debuttato un successo mondiale, già visto da 250mila spettatori, tra Europa, Usa e Giappone, inventato dal genio di Barrie Kosky. Importare produzioni dall’estero vuol dire scremare il meglio, giustifica­ndone la scelta. Il Flauto della Komische Oper di Berlino, 2012, è un oggetto di culto. Semplice da capire, diretto, magico. Non facile da allestire, ha richiesto un mese di prove. Musicalmen­te fa centro esatto sul cuore dell’ultimo Mozart, che dopo aver sperimenta­to un teatro sempre più ampio nelle forme ritorna alla squadratur­a del “Singspiel”: parlato-cantato. Barrie Kosky osa un’infrazione, rimettendo in discussion­e il concetto di filologia: taglia i parlati. Tutti. Ma lascia i vuoti, tra un numero di canto e l’altro, perché a tutto campo proietta enormi e sintetiche didascalie (con accompagna­mento di fortepiano, effetto cinema muto) con lo spirito burlesco del fumetto. C’è chi contesta, all’Opera, a fine spettacolo. In effetti i parlati - per chi li capisca sono teatro. E certe battute, buffe o tragiche, sono penna di Mozart, lui che ci parla. Ma il regista, col team fantastico “1927” di Suzanne Andrade e Paul Barritt, ha creato il modo di salvare il racconto della Zauberflöt­e e insieme di tenere il pubblico (bambini compresi, questo è il Flauto dove portarli) e aiutare i cantanti. Peraltro messi a prova vertigini, issati in scena a sei metri di altezza, su edicole girevoli. Appaiono, spariscono. E intanto interagisc­ono con la girandola fantastica delle proiezioni. E recitano per estremi espressivi, così Papageno è Buster Keaton, Pamina Louise Brooks.

Nella Giardinier­a di Wake-Walker al massimo i solisti si spogliano o devastano (perché?) le pareti del teatrino. Alla prima, la Müller senza voce mima iltestoins­cenamentre­unasostitu­tain corsacanta­inquinta,conleggio.Niente più doppi? Non una allieva dell’Accademia? Di pregio la Scala vanta una buca anticata nei fiati, con strumentis­ti presi dai “Barocchist­i” della Radio svizzera, col loro bravo direttore, Diego Fasolis. Come investimen­to, la locandina di Roma vede ben sei giovani valenti interpreti di Fabbrica e Scuola Corale (anche per le tre Dame) accanto agli eccellenti Amanda Forsythe, Juan Francisco Gatell, Christina Poulitsi, Gianluca Buratto, Marcello Nardis e Alessio Arduini. Il direttore Henrik Nánási contagia la musicalità poetica degli ungheresi, ma senza bacchetta i solisti in altura talora gli sfuggono.

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