La magia della Barcolana, dove il mare è un fiorire di vele
Nel dicembre del 1968 Barcola non è molto diversa dal borgo di pescatori che era stata per secoli. Lì, in una cantina alla periferia di Trieste, un gruppo di velisti lontani dalla «nautica impomata della Trieste bene» - come racconta Patrick Karlsen - fonda la Società Velica di Barcola e Grignano. «Le nostre regate fino a quel momento erano state inconsapevoli, primordiali, ci divertivamo a vedere chi era il più veloce nella tratta Barcola-Grignano e ritorno». Poi qualcuno più ambizioso degli altri propone di organizzare una regata vera. Si va dalla Fiv per farsi assegnare una data, ma il calendario è già tutto occupato. La prima giornata disponibile è la seconda domenica di ottobre. «Ottobre? Ma il tempo inizia a essere brutto in ottobre, ci sono tredici giorni di media di Bora», obiettano i giovani velisti. «Bene! Così vi farete le ossa!», rispondono dalla Federazione. «Nessuno poteva pensare che quella sarebbe stata la nostra fortuna», racconta Karlens.
La chiamarono «Coppa d’autunno». Da allora di autunni ne sono passati molti, e quella che si disputa oggi nel golfo di Trieste è la Barcolana numero 50, una regata nata per gioco e diventata «la più grande al mondo», come racconta Mitja Gialuz, attuale presidente della Società Velica di Barcola e Grignano.
Chi ne ha disputata almeno una edizione parla di «magia», chi ha assistito dalla riva o, meglio ancora, dalle alture di Trieste, racconta che si vede «il mare fiorire di vele», prendendo in prestito un verso di Catone il Vecchio.
Le testimonianze di chi l’ha vista, di chi ha partecipato, di chi l’ha fatta nascere e di chi l’ha fatta crescere sono raccolte nel volume edito da Giunti dal titolo Barcolana - Un mare di racconti, curato da Mitja Gialuz e da Alessandro Mezzena Lona. Ma le persone rappresentano solo una parte dei cast di questa lunga storia, perché siamo a Trieste e a Trieste il ruolo del protagonista non può che essere assegnato al mare. «In molte città mediterranee il mare è una rimozione, in senso reale o freudiano. A Trieste, il mare è parte fondamentale della vita dei singoli individui; grazie alla Barcolana diventa spazio collettivo», scrive Gialuz.
Chi almeno una volta ha partecipato alla Barcolana racconta che più di tutto, alla fine resta in testa il rumore unico al mondo di duemila e più rande che sbattono all’unisono sulla stessa linea di partenza. Chi invece l’ha vista in tv o in foto, resta incantato proprio da quella linea invisibile che separa il prima e il dopo, l’attesa e la gara.
Su quella stessa linea stanno gli
yacht ultramoderni e i “legni” classici, le grandi imbarcazioni e i piccoli scafi.
«La vela, l’amicizia, la possibilità di ormeggiare in centro città e di saltare da una barca all’altra ad assaggiare i prodotti di tutti, tutto si traduce in grande partecipazione», racconta il velista Mauro Pelaschier, introducendo così un altro fondamentale elemento della Barcolana: la festa. «Barcolana è trasformare una regata in un pic-nic sul mare», si legge nel libro edito da Giunti. C’è musica, vino, allegria. «I valori che la vela esprime - spiega Gabriele Galateri di Genola, presidente di Generali che da oltre 40 sostiene la Barcolana - si respirano nella festa che si celebra a terra. Un’alchimia che attrae partecipanti da tutto il mondo». Trieste - città dalle molte anime e dalle molte lingue - li accoglie tutti abbracciandoli come un vento.
Perché se si parla di vela non si può non parlare di vento, e se si parla di Trieste non si può non parlare della Bora. Sbaglia chi pensa che la Bora sia l’incognita peggiore in vista della regata. In verità è molto peggio la bonaccia che svuota le vele.
Alla Bora e ai «turisti del vento» il libro di Gialuz e Mezzena Lona dedica anche un piccolo e divertente manuale di istruzioni per l’uso e un avvertimento: «I triestini considerano il tenersi sui pali della luce una grande debolezza».