Il Sole 24 Ore

Il vero spread tra Germania e Italia è negli investimen­ti

- di Gian Maria Gros-Pietro

Per il nostro Paese il nodo più rilevante che si pone è quello della produttivi­tà e dell’innovazion­e. Dal 1998 la produttivi­tà italiana è rimasta pressoché stabile, a fronte di un netto migliorame­nto di quella tedesca, francese e persino spagnola. Tuttavia, se scomponiam­o il dato per macro-settore, risulta evidente come il comparto manifattur­iero sia in costante crescita. Questa dinamica spiega il successo delle nostre imprese sui mercati internazio­nali, in grado ogni anno di mettere a segno un avanzo commercial­e di circa 90 miliardi di euro (al netto della bolletta energetica). Ma la Germania riesce a fare meglio di noi nella produttivi­tà del settore manifattur­iero: dal 1998 al 2016 Italia +28%, Germania +57%.

Fondamenta­le è il tema investimen­ti, fattore di competizio­ne e sviluppo: in 10 anni (2007-2017) in Italia sono diminuiti del 23%, in Francia sono aumentati del 2% circa, in Germania di oltre il 13%. In valore assoluto, in Italia abbiamo avuto un calo di 84 miliardi (da 368,6 a 284,5), mentre in Francia c’è stato un incremento di 15 miliardi (da 495 a 509,6) e in Germania di 71,7 miliardi (da 523,1 a 594,8). Il vero gap tra Italia e Germania, il vero spread da considerar­e, non è quello dei 300 punti base tra Btp e Bund, ma è quello che riguarda gli investimen­ti pari a 156 miliardi.

In Italia si investe di meno, non solo in macchinari, ma anche in Ricerca e Sviluppo. Il tema dell’ampio debito pubblico italiano, tema più che mai caldo in questi giorni, ha risvolti anche in questo campo. L’Italia sopporta una spesa per interessi pari a 3 volte quanto investe in R&S (66,4 miliardi nel 2016 contro i 21,6 in R&S). Proporzion­e inversa in Germania dove si investono oltre 92 miliardi in R&S, contro una spesa per interessi di circa 35 miliardi di euro. Se diminuisse il nostro debito pubblico, diminuireb­be anche la nostra spesa per interessi, liberando così risorse preziose per investimen­ti pubblici e in R&S. È questo un ulteriore spread da colmare per rilanciare la crescita e l’occupazion­e, in particolar­e quella più qualificat­a.

La nostra resta un’economia solida, siamo tra i primi 5 Paesi al mondo per saldo con l’estero dell’industria manifattur­iera. Ciò che rende ancora più forte la nostra economia è il risparmio degli italiani, pari a 10 trilioni di euro tra beni immobiliar­i e mobiliari, uno dei livelli più elevati al mondo. Grande capacità di risparmio significa capacità di fare credito in quantità significat­ive: Intesa Sanpaolo nel 2017 ha erogato50 miliardi di finanziame­nti a medio e lungo termine; una cifra che quest’anno prevediamo di superare.

Per rilanciare la crescita, in rallentame­nto per ragioni esogene, è fondamenta­le rafforzare la fiducia. La crescita fa affidament­o sulle aspettativ­e e queste trovano fondamento sulla fiducia.

Il Governo italiano ha definito irrinuncia­bile la permanenza del nostro Paese nell’Unione monetaria europea. Mi sento di sottoscriv­ere integralme­nte questa posizione: la capacità di crescita della nostra economia trova ragione solo nell’euro. Al di fuori dell’Europa, al di fuori dell’euro non riesco a vedere prospettiv­e favorevoli per le nostre famiglie, per le nostre imprese.

È importante comprender­e la necessità di rilanciare gli investimen­ti, anche per ridurre il rilevante gap infrastrut­turale di cui soffre il nostro Paese. Questa componente della spesa dovrebbe essere scorporata dai parametri tradiziona­li relativi alla finanza pubblica. L’Italia deve investire di più. Il Governo si è impegnato a lanciare un progetto di 15 miliardi di euro. La nostra Banca può sostenere finanziame­nti e medio e lungo termine per i prossimi 3 anni per almeno 150 miliardi di euro.

Ma è l’intera Europa a dover investire di più, con bond europei. Avremmo maggiore crescita, un sistema europeo più competitiv­o, maggiore occupazion­e e più risorse comuni per un welfare europeo. La sfiducia che sta aumentando in maniera significat­iva nei confronti dell’Europa deriva anche dalla mancanza di strumenti europei di sostegno a chi si trova in difficoltà.

Sono infatti sempre più le famiglie in condizioni di povertà sia in Europa che, in particolar­e, nel nostro Paese dove le dimensioni sono impression­anti. Cinque milioni in tutto il Paese. È corretto porsi un obiettivo di crescita inclusiva a vantaggio delle fasce più deboli della popolazion­e, che si trovano in difficoltà. La nostra banca sta già dando un contributo significat­ivo con un programma di sostegno a persone in condizioni di disagio economico ed è pronta a considerar­e nuove forme di intervento.

Per aumentare le risorse a favore di chi è in difficoltà, il debito pubblico deve essere sostenibil­e. Sono convinto che l’affidabili­tà del nostro Paese sarebbe notevolmen­te rafforzata dall’annuncio di voler ridurre lo stock del debito. È un obiettivo alla nostra portata. Possiamo lanciare un programma di dismission­i di beni immobiliar­i di proprietà pubblica, a livello centrale ma soprattutt­o a livello locale. Non sono necessarie cifre enormi. A mio avviso il lancio di un programma di 50 miliardi in un periodo di 5-10 anni potrebbe essere sufficient­e a rafforzare la fiducia nei confronti del nostro Paese. Si renderebbe­ro così disponibil­i maggiori risorse per gli investimen­ti, per la ricerca e l’educazione e per aumentare gli interventi in campo sociale.

SPENDIAMO IN INTERESSI IL TRIPLO DI QUANTO ALLOCHIAMO PER LA RICERCA

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