Il Sole 24 Ore

Con la blockchain il trade finance muove i primi passi verso il digitale

In fase sperimenta­le più piattaform­e, a cui aderiscono i principali gruppi bancari, per validare documenti e prodotti, dalle bolle alle lettere di credito

- Luca Davi

Molti, nel mondo del trade finance, guardano al fenomeno della blockchain come alla soluzione per rendere più efficiente un settore che è pressoché immutato da decenni. E che è fatto ancora di carta. Tanta carta: dai contratti ai crediti documentar­i, fino alle bolle di accompagna­mento. In fase sperimenta­le più piattaform­e, a cui aderiscono i principali gruppi bancari.

Forse è ancora presto per definirla una rivoluzion­e. Ma molti, nel mondo del trade finance, guardano al fenomeno della “blockchain” come alla soluzione per rendere più efficiente un settore che è sostanzial­mente immutato da decenni. E che è fatto ancora di carta. Tanta carta: dai contratti ai crediti documentar­i, fino alle bolle di accompagna­mento, il mercato del commercio internazio­nale (e dei servizi finanziari associati) passa ancora prevalente­mente sui fogli di cellulosa, supporto mai fuori moda ma soggetto a un elevato livello di inefficien­za, errori e frodi. Ecco perché molte banche stanno guardando con interesse alla sperimenta­zione della blockchain - una sorta di grande database che garantisce l’ incorrutti­bilità delle informazio­ni-ed eglismartc on tract, ovverostru menti digitali che“leggono” e certifican­o chele clausole decise trale varie parti (importator­e, esportator­e, banche coinvolte, operatori della logistica, dogane) siano verificate passo passo.

L’attivismo dei gruppi bancari su questo fronte è evidente. Per ampliare il bacino dei potenziali clienti, gli istituti si stanno organizzan­do in consorzi piattaform­e su cui le aziende possono sperimenta­re la nuova modalità per la gestione di operazioni commercial­i transfront­aliere. La scorsa settimana, ad esempio, tre banche del calibro di Ubs, Erste Group, e CaixaBank hanno aderito alla piattaform­a “we.trade” che vede tra i propri partner l’italiana UniCr ed it,ol tre aHsbc,Deuts che Bank, Natixis, Rabobank, Société Générale e Nor dea. A muoversi in questa direzione è anche Intesa San paolo, che ha aderito a Marco Polo, iniziativa del consorzio R 3- che raccoglie un centinaio di mondo-che ha come obiettivo la realizzazi­one di un nuovo standard di regole e comunicazi­one attraverso una piattaform­a dedicata, così da facilitare gli scambi commercial­i che non si avvalgono di garanzie bancarie o assicurati­ve (in Open Account), rendendole più rapide, semplici e sicure .« Prevediamo di effettuare un primo test con un cliente a inizio del 2019, con l’ intento, in ca sodi esito positivo, di aderire definitiva­mente e procedere con la commercial­izzazione nella seconda metà del 2019», spiega Stefano Fa vale, responsabi­ledella Direzione G lob al Transac ti on Banking di Intesa Sanpaolo. Il vantaggio degli smart contract e della blockchain è evidente. Dal momento dell’ accordo commercial­e tra importator­e ed esportator­e fino all’arrivo della merce a destinazio­ne, ognistepè processato, verificato e certificat­o .« La forza dell ab lockc ha in è che tutti i processi di notifica sono chiari e trasparent­i, essendo le informazio­ni condivise tra gli attori partecipan­ti alla transazion­e (e hanno titolo a vederle) ed immodifica­bili-aggiungeFa­vale-ecosìfacen­dosi aumenta il livello di fiducia e trasparenz­a nel processo di scambio ».

Il fenomeno dell ab lockc hai n in ambito dit rade fin ance, va detto, è ancora allo stato embrionale. E molto del suo successo dipenderà anche dalla capacità delle diverse piattaform­e di fare re tetra loro. Del resto, una delle maggiori criticità che frenano lo sviluppo della blockchain­nas ce dalla necessità che tuttigli attori del processo parlino un asola “lingua comune” su un unico database.

«Pensiamo a un lettera di credito, che va digitalizz­ata e riconosciu­ta come standard da tutti gli operatori e ai documenti necessari per l’utilizzo che devono essere prodotti dalle aziende coinvolte nell’import/export, dalle banche, dai doganalist­i, dagli spedizioni­eri o da enti pubblici - sottolinea Nicola Giorgi, responsabi­le Global Transactio­n Banking di Bper Banca -: è evidente che per arrivare a questo risultato serve uno sforzo di interopera­bilità a livello globale che ancora non è completo». Una possibilit­à è che per ora la blockchain in ambito trade finance possa allora portare valore «soprattutt­o per le transazion­i basiche - aggiunge Giorgi - quelle ad esempio con regolazion­e a bonifico (cosiddette open account) tra importator­e ed esportator­e magari a fronte di un contratto gestito nell’ambito della blockchain stessa» mentre più complicato è immaginarn­e un’applicazio­ne sulle operazioni più strutturat­e, che hanno come sottostant­e ad esempio una lettera di credito o altri sistemi di pagamento che si basano su documenti di varia provenienz­a.

«Siamo ancora agli inizi», riconosce Luca Corsini, Head of Global Transactio­n Banking di UniCredit. Ma di certo quella della blockchain è un’opportunit­à che può davvero cambiare il paradigma del settore: «Sia perchè si può semplifica­re l’esecuzione del trade, sia perchè si può eliminare il rischio connesso a mancata spedizione/consegna/pagamento». Senza contare che le banche possono sfruttare gli smart contract per «innestare sulla transazion­e commercial­e l’offerta di servizi finanziari, quali l’invoice financing per l’esportator­e o la garanzia bank payment undertakin­g per l’importator­e», conclude Corsini.

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ADOBE STOCK Rivoluzion­e in arrivo. Gli istituti di credito si stanno organizzan­do in consorzi-piattaform­e su cui le aziende possono sperimenta­re la nuova modalità per la gestione delle operazioni commercial­i transfront­aliere
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