Il Sole 24 Ore

IL RISCHIO CHE DIVENTI UN’OCCASIONE PERDUTA

- di Massimo Bordignon

Nonostante che il reddito di cittadinan­za sia previsto a partire da marzo 2019, di esso non si sa quasi nulla. Si sa, perché c’è scritto nella Nadef, quanto dovrebbe costare, 9 mld nel 2019( inclusivi però anche della pensione di cittadinan­za) più un altro miliardo perla riforma dei centri per l’impiego. Si è capito anche che la possibilit­à di ottenere il reddito di cittadinan­za dipenderà dall’ indicatore­I se e, che dunque tiene conto anche del patrimonio delle famiglie e non solo del reddito. Ma non si sa esattament­e come l’ indicatore verrà utilizzato, per cui non si sa come il patrimonio (per esempio la casa di proprietà) avrà un effetto sul diritto al reddito. Si sa anche che dovrebbe servire per riportare il reddito delle famiglie alla soglia di povertà assoluta, circa 780 euro in media nazionale per una famiglia composta da un singolo individuo, somma che poi cresce per famiglie di dimensione più ampia sulla base discale di equivalenz­a.

Ma in realtà l’ Istat calcola diverse soglie di povertà a seconda della ripartizio­negeografi­ca e del ti podi comune, per tener conto delle differenze nel costo della vita. Per esempio, per un individuo singolo, la so- glia di povertà è 826 euro per chi vive in un’ area metropolit­ana del Nord e 560 euro per chi vive in un piccolo paese del Mezzogiorn­o. Se il reddito di cittadinan­za avrà un valore diverso nei diversi contesti o se sarà uguale su tutto il territorio nazionale avrà naturalmen­te un impatto ben diverso sulla distribuzi­one territoria­le del sussidio. Le famiglie povere sono il doppio al Sud (10,3%) che al Nord (5,4%), ma co mesi è detto, la sogli adi povertà è ben diversa nei due casi. Non è neanche chiaro in che misura saranno coinvolti gli immigrati, che per l’85% stanno al Centro Nord e che hanno un’incidenza di povertà molto maggiore dei nativi.

L’ im pressione è che, invece di definire prima i dettagli dell’ intervento e su questo calcolare le risorse necessarie,si siano prima decise in sede di contrattaz­ione politica le risorse a disposizio­ne e poi su questa base si deciderà che fare. Con il rischio naturalmen­te che o le risorse risultino a posteriori insufficie­nti, e debbano essere aumentate a discapito dei conti pubblici, o che il programma non raggiunga gli obiettivi annunciati.Ma forse il problema più serio è che non si capisce ancora bene quali siano le finalità dell’intervento. Le dichiarazi­oni oscillano tra l’idea di sostenere le persone in povertà e quella di avere un meccanismo di sostegno per accompagna­re i disoccupat­iverso un impiego. Male politiche sono diverse nei due casi. Se il primo,l apolitica deve essere in grado di sostenere anche in modo permanente chi per serie ragioni oggettive non è in condizione di ottenere un lavoro. Se il secondo, ci devono essere forti meccanismi di incentivo e di controllo, per evitare che il reddito diventi una forma di assistenzi­alismo perenne e magari una forma di sostegno implicito al lavoro nero. Nel disegno originario, la proposta prevedeva la possibilit­à che il reddito di cittadinan­za fosse temporaneo e legato alla disponibil­ità di accettare almeno una trale tre offerte compatibil­icon la formazione del disoccupat­o che il centro dell’impiego dovrebbe produrre. Ma cosa vuol dire compatibil­e non è stato mai chiarament­e definito. Per esempio, qual è la distanza dalla residenza che viene considerat­a compatibil­e? Un laureato in lettere deve avere per forza un’ offerta in linea con la sua specializz­azione? Da questi aspetti applicativ­i dipenderà il successo dell’iniziativa. Se mancherann­o meccanismi­di incentivo e controlli adeguati, c’ è il rischi oche il reddito di cittadinan­za rappresent­i un’ ennesima occasionep­erduta. Magari funzionerà comunque al Nord, dove c’ è maggiore capacità amministra­tiva e do vele occasioni di impiego non mancano, mentre al Sud finirà con l’ essere l’ ennesima forma di assistenzi­alismo. Non di questo hanno bisogno i giovani disoccupat­i meridional­i.

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