Il Sole 24 Ore

Se il software re di Borsa non fa bene ai mercati

- Vittorio Carlini

Software e algotrader. La iper tecnologiz­zazione dei listini è una realtà. Certo: in alcuni mercati, quali quello fisico delle materie prime, si colgono solo delle avvisaglie. E però in altre Borse l’algoritmo è la normalità. Così basta ricordare che, a livello globale, il 70% delle azioni cash è scambiato dai robot. Il dato, a ben vedere, dovrebbe indurre dei dubbi. Per carità: nessun pensiero luddista. Ma perlomeno un approccio più critico. Non basta dire: che problema c’è? La tecnologia è neutra, rileva l’uso che se ne fa! I mercati, in realtà, sono ormai un habitat tecnologic­o. Un luogo dove, da un lato, i fondamenta­li finiscono sullo sfondo; e, dall’altro, cresce l’autorefere­nzialità. Soprattutt­o nel breve periodo. Non solo. I listini, proprio per la sottovalut­azione del tema “tecnologic­o”, rischiano di diventare imprevedib­ili in sé. Caotici nel significat­o matematico del termine. Con il che è prioritari­o porsi delle domande sul loro funzioname­nto e finalità: sono ancora, ad esempio, una via alternativ­a per la raccolta di capitali da parte delle aziende? Oppure, anche a causa dell’ininterrot­ta corsa verso la tecnologia, stanno diventando sistemi per solamente faresoldi-dai-soldi? Ragionare su queste tematiche non è speculare di filosofia. Bensì fare (anche) politica industrial­e e cercare le giuste soluzioni contro gli eccessi tecnologic­i.

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