Ora l’export turco fa paura all’Europa
Un piccolo gigante da 37 milioni di tonnellate bloccato nella sua corsa verso lo sviluppo. La siderurgia turca è diventata negli ultimi anni un concorrente temibile per gli italiani, ma la recente guerra commerciale con gli Usa sta arrestando ogni promessa di sviluppo; ad agosto, mentre la produzione mondiale cresceva del 2,6% e l’Italia aumentava l’output del 6%, qui si registrava una frenata del 5,7.
«Arrivi a Istanbul e dopo pochi minuti già capisci tutto, con i cantieri fermi a metà e le grandi opere infrastrutturali bloccate in attesa di una schiarita della situazione» spiega Emanuele Morandi, imprenditore siderurgico e presidente di Made in steel, la principale fiera italiana del settore. Morandi è stato recentemente in Turchia per partecipare a Metalexpo Eurasia, una rassegna dedicata all’acciaio nata da un’iniziativa turca con l’intento di replicare il modello italiano.
«Abbiamo fornito consulenza e supporto - spiega Morandi - e ne abbiamo approfittato per tastare il terreno con una pattuglia di imprenditori rappresentativi della filiera italiana. Le aziende turche sono preoccupate per la lira: molti si stanno dollarizzando, comprano e vendono in dollari, ma il rischio è che si scarichi tutto sul consumatore finale».
L’acciaio turco è in gran parte prodotto da forno elettrico e dipende dall’estero per l’approvvigionamento del rottame e di altre materie prime necessarie alla produzione: la svalutazione della lira penalizza gli acquisti, e dall’altra parte, sul fronte delle esportazioni, non c’è un adeguato recupero delle marginalità. «La Turchia produce soprattutto commodities spiega Morandi -, non è ancora riuscita a spingersi verso produzioni come l’inoxe o per esempio gli acciai speciali per utensili o gli acciai per forge. È ancora una siderurgia di bassa qualità che non sta spingendo il Paese verso il futuro, e la difficile situazione geopolitica rischia di penalizzare ulteriormente gli operatori ». In teoria si tratta di spazi che si possono aprire per gli italiani già presenti sul mercato, «anche se vendere in lira turca - prosegue l’imprenditore - resta un rischio».
Il timore è che ora i problemi interni si possano tradurre in un’invasione di prodotti a basso costo sul mercato europeo e italiano. «La siderurgia turca ha grandi presupposti competitivi - spiega Enrico Fornelli, chief commercial officer di Beltrame -: basta guardare le loro acciaierie, tutte sul mare, mentre noi in Italia dobbiamo spendere almeno 15 euro a tonnellata per raggiungere il Mediterraneo». Detto, questo, gli operatori turchi «sono tutti molto preoccupati, d’altra parte solo un pazzo non lo sarebbe» conferma Fornelli, che ha preso parte alla missione organizzata da Made in steel. A essere messa in discussione oggi è la capacità degli imprenditori di fornire le garanzie adeguate a proseguire le attività, giorno dopo giorno. «Sul rottame faticano ad aprire lettere di credito - spiega -, mentre per gli italiani che vendono in Turchia le cose rischiano di complicarsi nei pagamenti, soprattutto quando non si tratta di vendita dal pronto, ma di acciai di qualità e prodotti specifici: quando si tratta il prezzo e poi il materiale è consegnato a distanza di mesi, chi dà la garanzia che il cliente sia ancora in grado di pagare?»
L’imprenditore turco conserva però quello che Fornelli chiama «ottimismo mediterraneo», che aiuta a proseguire cercando di approfittare dei pochi vantaggi offerti dalla lira debole. «Hanno una mentalità da export spiega il manager -, devono solo ritrovare equilibrio. È chiaro che, soprattutto in Italia del Sud, si avverte la loro presenza; hanno leggermente aumentato i volumi, con prezzi pazzescamente inferiori ai nostri».