Turchia, chi vince e chi perde ai tempi della super-inflazione
Spazi competitivi per le aziende che da lì esportano e hanno listini in euro o dollari, ma sui conti incombono gli aumenti di salari e materie prime. In picchiata, invece, il mercato interno
«Per ora la situazione non ci turba. Anzi, direi che i margini sono migliorati». Prezzi in euro e costi in lire è in questo momento la formula “magica” per operare in Turchia e l’esperienza dell’ad di Sabaf Pietro Iotti lo testimonia. Il gruppo lombardo, che realizza componenti per elettrodomestici e che proprio a settembre ha acquistato un componentista locale, è uno dei tanti costruttori nazionali che ha deciso di produrre nel Paese per poi riesportare altrove. Scelta strategica che paga, nel momento in cui la maxi-svalutazione ha abbattuto il potere d’acquisto locale, creando però spazi competitivi per chi ha listini in euro o in dollari. Tracollo della lira, impennata dei tassi d’interesse e dell’inflazione hanno certamente reso il Paese più complesso per qualsiasi operatore economico, anche se la situazione non genera soltanto svantaggi, come dimostra il racconto di Sabaf. «Quasi tutto ciò che vendiamo, direttamente o indirettamente, viene esportato - spiega Iotti e là dove operiamo con listini in lire c’è un accordo per conguagliare i dati alla fine del mese sulla base dell’andamento del cambio. Certo, questo vale anche dal lato dei costi e l’inflazione, per esempio, implicherà probabilmente un aumento dei salari».
Situazione analoga per Candy, che ha da poco inaugurato in Turchia un terzo sito produttivo e che vede vantaggi di competitività. Anche per il produttore di elettrodomestici si tratta di produzione destinata all’export: dunque listini in euro (stabii) e costi in lire, che in termini di euro si riducono a causa del deprezzamento del cambio. Meccanismo che genera margini aggiuntivi, naturalmente, nella misura in cui la rete di fornitori locale non aggiorna i propri listini in modo conseguente, annullando i vantaggi della svalutazione. Benefici e rischi tuttavia si modificano in caso di copertura sui cambi, come ha fatto il gruppo lecchese Fontana (in Turchia produce stampi per l’export), che ha preferito vendere euro a termine contro lire turche per avere certezza sulle entrate, in questo caso ovviamente rinunciando ad un guadagno. «Gestiamo un’azienda spiega l’imprenditore Walter Fontana - e non possiamo certo fare speculazioni finanziarie. Certo, in qualche caso si rinuncia ad avere dei vantaggi, come poteva accadere ora. Ma se in qualche situazione ti puoi pentire, in media il meccanismo funziona: anni fa la lira turca era rimbalzata verso l’alto, se non ci fossimo “coperti” avremmo avuto una perdita importante». In qualche caso i contratti di fornitura locale di Fontana sono in euro o in dollari (su richiesta dei fornitori) ma la trasformazione di questi rapporti in lire, come imposto dal governo, rischia di essere solo una partita di giro. «Se la svalutazione continua, quando i fornitori acquistano le materie prime e le pagano in dollari si trovano a sostenere costi più alti - spiega Fontana - che poi riversano sui clienti, aumentando i listini in lire turche. Del resto qui l’abitudine ai ritocchi dei prezzi è antica. Anche noi, ogni anno, adeguiamo gli stipendi dei nostri dipendenti per tenere conto della perdita di potere d’acquisto». Per chi invece si rivolge al mercato interno i problemi sono evidenti. Tra agosto e settembre, ad esempio, il colosso della meccanizzazione agricola Sdf segnala un quasi dimezzamento del mercato interno dei trattori. A breve il sito del gruppo di Treviglio inizierà a produrre anche per l’export e anche qui si dovrà capire fino a che punto i benefici competitivi legati alla svalutazione della lira saranno limati dall’aumento dei listini a monte, quasi uno standard in un Paese abituato da anni ad un’inflazione a doppia cifra. A fondo anche il mercato interno dell’auto, che ad agosto ha perso il 51% dei volumi, a settembre addirittura il 67%. E non a caso, per effetto della riduzione della domanda, l’impianto di Bursa, joint venture tra Koc Holding e Fca, a ottobre deve fermarsi 9 giorni. Un guaio anche per i fornitori. Come ad esempio Cornaglia, componentista piemontese che con Tofas realizza il 50% del proprio giro d’affari locale. «Sulle prospettive del Paese - spiega l’ad di Cornaglia Turchia e controller del gruppo Tommaso Cornaglia - devo dire che resto positivo, anche se il quadro attuale è drammatico: ad agosto e settembre per noi il calo è del 50% rispetto a luglio, a breve dovremo lasciare a casa una ventina di persone». Lavorare sul mercato interno genera anche perdite sui cambi, pur lavorando solo in lire. Al momento della fattura, infatti, il prezzo è fatto tenendo conto del cambio con l’euro ma il pagamento ovviamente non è immediato: solo lo sfasamento temporale tra fattura e pagamento sta generando per il gruppo una perdita su cambi nell’ordine del milione di euro. Altri danni evidenti vi sono per chi esporta. Così come accaduto in Russia, il crollo verticale del potere d’acquisto di famiglie e imprese ha gettato sabbia negli ingranaggi per i nostri esportatori, provocando ad agosto un crollo del 13%, risultato che difficilmente sarà migliore a settembre, mese in cui la fiducia delle famiglie è crollata del 13%, ai minimi da tre anni. «E inoltre - spiega sconsolata Raffaella Carabelli, imprenditrice del meccanotessile - tra i miei clienti ho scoperto che c’è anche chi dopo il tentato golpe è finito in galera».