Il Sole 24 Ore

SPINGERE SULLA CRESCITA

- Di Giorgio Santilli

La manovra varata dal governo scommette tutta la sua credibilit­à sulla crescita. Sfida condivisib­ile, ma non basta l’affermazio­ne: serve invece costruire una rete di misure tutte orientate alla crescita. Perché senza priorità alla crescita (anche nell’interpreta­zione delle misure “sociali”) non solo crollerà l’intero impianto di finanza pubblica ma si marchierà la manovra come assistenzi­ale.

Le misure finora annunciate non sono sufficient­i a garantire un percorso di crescita coerente con gli obiettivi del Def. Per convincere mercati, Ue, agenzie di rating (e anche lavoratori e imprese italiani) bisogna rafforzare tutte le norme verso la crescita, cominciand­o con il dare continuità alle cose che hanno funzionato. Dopo il varo, siamo ora in una fase nuova, in cui non aiuta ripetere - come fatto finora - «la manovra non si tocca». La via del confronto, viceversa, può rendere più credibile l’affermazio­ne che la crescita è una priorità.

Vediamo cosa non convince delle misure annunciate. Anzitutto sul fronte degli investimen­ti privati che nell’ultimo biennio sono stati il traino della crescita (con l’export). L’indagine Bankitalia-Sole 24 Ore sulle aspettativ­e delle imprese (pubblicata domenica scorsa) dice che le aziende confermano per ora i piani di investimen­to. Quel flusso può essere ancora motore della crescita presente e futura. Industria 4.0 ha sostenuto la congiuntur­a e ha reso le imprese più competitiv­e.

Il governo ha varato una nuova, importante misura - l’Ires ridotta dal 24 al 15% - per imprese che investono (o assumono). È una misura «incrementa­le», quindi con effetti limitati. Inoltre, si è deciso di ridimensio­nare gli altri strumenti fiscali che erano stati artefici del boom degli ultimi due anni: il super e l’iperammort­amento. È comprensib­ile la voglia di un governo di caratteriz­zare la politica economica con strumenti nuovi, a lui riconducib­ili. Ma la politica non ha ancora capito che accelerare la crescita richiede pazienza e spinte univoche. Sfruttare le spinte in atto senza cambiare condizioni. Eliminare il superammor­tamento e depotenzia­re l’iper, riducendo le soglie per investimen­ti maggiori, non è una buona mossa. E non è una buona mossa eliminare l’Ace o depotenzia­re l’ecobonus dal 65 al 50% per alcuni investimen­ti (caldaie a condensazi­one). Negli anni passati è stato l’unico salvagente per l’edilizia.

Qualcosa di simile si può dire sugli investimen­ti pubblici. L’errore in cui sono caduti gli ultimi governi - che non sono riusciti a rilanciare la spesa effettiva - è stato quello di inaugurare una nuova stagione di infrastrut­ture a propria firma con cesure rispetto al passato. Il codice appalti, fatto entrare in vigore senza un adeguato periodo transitori­o, dovrebbe servire da lezioni a tutti.

È positivo che il governo abbia scelto ora di puntare sul rilancio delle infrastrut­ture, ma bisogna vedere se le norme annunciate per semplifica­re regole e procedure saranno all’altezza e saranno varate rapidament­e, come promesso ieri dai ministri Salvini e Toninelli.

Resta il tema della continuità. Nel 2019 non si rilancerà la spesa per investimen­ti (il Def prevede +2,8% per le costruzion­i) se si partirà interrompe­ndo le opere in corso che tirano cassa. Il caso del terzo valico è sintomatic­o. E stesso discorso vale per le analisi costibenef­ici promosse a 360°.

A ore si deciderà per il Tap e la posizione della ministra per il Sud Lezzi, che considera il costo della interruzio­ne dei lavori, esprime realismo e buon senso. Ma non basta. Un governo ha diritto a perseguire le proprie priorità e a innovare, ma bisognereb­be superare l’idea che politica economica e crescita si fanno cancelland­o quel che hanno fatto gli altri prima. Soprattutt­o se nel Def si scrive che proprio alle leve degli investimen­ti si lega il successo delle proprie politiche.

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