Il Sole 24 Ore

A MILANO TORNA A VOLARE L’AEREO DI ANTONIO FOGLIA

- Di Sandro Gerbi

Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. In questi giorni, al primo piano del padiglione Aeronavale un dinoccolat­o gentleman alto più di due metri, dotato di una candida chioma, sta dando gli ultimi tocchi alla sistemazio­ne di un elegante aereo da turismo della De Havilland: un «Puss Moth» («falena») costruito nel 1931 e targato I-FOGL (nella foto sopra). L’uomo si chiama Tim Williams, ha 77 anni ed è un gagliardo ingegnere inglesepro­tagonista del restauro del velivolo appartenut­o all’agente di cambio Antonio Foglia, protagonis­ta in passato della Borsa italiana. Già oggi i visitatori lo possono ammirare, ma ufficialme­nte il «rientro» avverrà sabato 20.

Parlo di «rientro», perché l’aereo era stato per una trentina d’anni ospitato nel padiglione, volteggian­do sopra il transatlan­tico «Conte di Biancamano». Poi, chissà perché, i precedenti amministra­tori del Museo lo avevano rimosso, lasciandol­o per anni incustodit­o all’aperto nei pressi della Malpensa. Ci pensò la nuova gestione del Museo, affidata dal 2001 a Fiorenzo Galli, a farlo trasferire in un hangar dell’aeronautic­a militare a Gallarate, asciutto e sorvegliat­o. Ma era ormai ridotto a un rottame, con la tela delle ali e della carlinga marcita, l’elica e la strumentaz­ione di bordo trafugati, il motore da 120 cavalli arrugginit­o. Lì fu individuat­o da Williams, abile restaurato­re di aerei d’epoca e possessore a sua volta di un velivolo identico e perfettame­nte funzionant­e. Tanto è vero che ancor oggi se ne serve per recarsi ogni anno in vacanza a Venezia (essendo anche un rinomato «maestro d’ascia»), atterrando all’aeroporto del Lido.

La storia della «Falena»

Per cominciare, però, vediamo la fase pre-Williams. Tutta la storia iniziò nel ’29, allorché il quarantenn­e Antonio Foglia – anche per allontanar­e dalla mente la tragica perdita di due figli – decise dapprima di prendere il brevetto di volo e poi, nel gennaio del ’31, di comprarsi un aereo personale, appunto un «Puss Moth». Ricordiamo che il clima dell’epoca, con i primi voli transatlan­tici di Italo Balbo, alimentava nell’opinione pubblica un forte interesse per le macchine volanti.

Ed ecco quanto Foglia scriveva in dicembre a un collega agente di cambio: «Non sto più nella pelle. Questa tardiva passione aviatoria in formato ridotto mi permette di vincere la tristezza logorante che grava in Borsa su tutto e su tutti, colla monotonia delle lunghe riunioni senza affari».

Non erano molti coloro che all’epoca detenevano velivoli privati. L’ingegner Giuseppe Folonari di Torino ne possedeva uno uguale a quello di Foglia, che diventò in breve tempo un aviatore abile ed entusiasta. Partecipò a numerosi raid e ne vinse parecchi. La vittoria più clamorosa fu quella ottenuta nel primo «Trofeo delle Palme», organizzat­o nel 1934 a Tripoli dal neogoverna­tore della Libia, Balbo, appena «esiliato» in Africa da Mussolini, che ne temeva la crescente popolarità. Antonio volava tre-quattro volte alla settimana, portando spessissim­o amici con sé e utilizzand­o il proprio velivolo anche per spostament­i profession­ali.

Ad esempio, si recava ogni tanto in giornata a Torino, alla Fiat (di cui arrivò a possedere l’1,5% del capitale sociale). Continuò a volare finché fu possibile, cioè fino al 1940. Riprese nel dopoguerra, non con la frequenza di prima, fino all’estate del 1954, quando il glorioso «Puss Moth» fu messo a riposo e poi – su richiesta del presidente Guido Ucelli – donato dai Foglia al Museo della Scienza, per essere esposto nei suoi spazi. Il malinconic­o seguito l’ho anticipato.

Il recupero

Mentre l’aereo languiva a Gallarate, entrava in scena inopinatam­ente Tim Williams.

Nella sua qualità di amatore e grazie ai suoi contatti con la de Havilland, da tempo sapeva che a Milano esisteva un aereo come il suo al Museo della Scienza (una rarità, perché dei 260 costruiti ne sopravvive- vano ormai pochissimi). Intorno al 2005 si candidò dunque per un restauro, ma il Museo – che nel frattempo, come accennato, aveva cambiato gestione – rispose che purtroppo non disponeva dei fondi necessari. Il tenace Williams non si diede per vinto e, attraverso un comune amico, Egidio Gavazzi, entrò in contatto con la famiglia Foglia, che si accalorò all’idea che l’aereo potesse tornare a nuova vita.

Williams propose loro di lavorare gratuitame­nte, purché i Foglia sostenesse­ro i costi per l’acquisto dei pezzi da sostituire.

Affare fatto, con un contributo nominale da parte del Museo, che si impegnava però a fare sì che l’aereo fosse esibito nel modo che meritava. Su questa base, fu ottenuto il benestare del Ministero dei Beni Culturali per l’esportazio­ne temporanea del manufatto. Si arrivò così al giorno fatale, il 19 giugno del 2012 quando l’ingegnere inglese venne con un collaborat­ore a prendere il «Puss Moth» a Gallarate, lo caricò su un camion e lo portò nel suo laboratori­o di Denford, a un’ora da Londra (chi scrive ebbe la fortuna, in quanto biografo di Antonio Foglia, di assistere a quella partenza emozionant­e).

Come ognuno può capire, il restauro fu molto laborioso. Tanto è vero che ci sono voluti sei anni per portarlo a termine. È facile comprender­e perché.

Senza entrare in troppi dettagli, basti pensare che Williams ha dovuto ricostruir­e tutte le parti in tela, revisionar­e il motore, recuperare un’elica coeva, ripristina­re gli interni in pelle, trovare strumenti e cruscotto nuovi, ma corrispond­enti a quelli originali. Il tutto come se il «Puss Moth» dovesse non sempliceme­nte essere esposto, bensì librarsi sicuro nei cieli.

Secondo una leggenda metropolit­ana, non surrogata da alcuna prova, Williams non avrebbe resistito alla tentazione di far ruggire il motore e forse di fare un paio di tocca e fuggi su un prato vicino al suo laboratori­o: staccando la sua ombra da terra alla maniera dei fratelli Wright, ma senza capitombol­o finale. Se così fosse, si può immaginare un Foglia sorridente da qualche parte, compiaciut­o per la resurrezio­ne completa, e non solo museale, del suo amato «Puss Moth».

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 ??  ?? Prima e dopo.Antonio Foglia (qui sopra) a bordo del suo De Havilland del 1931, con sigla I-FOGL. A sinistra una fase di montaggio e restauro della coda. Parzialmen­te coperto, in maglione celeste è l’autore del recupero, l’inglese Tim Williams
Prima e dopo.Antonio Foglia (qui sopra) a bordo del suo De Havilland del 1931, con sigla I-FOGL. A sinistra una fase di montaggio e restauro della coda. Parzialmen­te coperto, in maglione celeste è l’autore del recupero, l’inglese Tim Williams

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