Il Sole 24 Ore

Risorse umane, in Ima l’arbitro «super partes» che azzera i conflitti

Parla Massimo Ferioli, direttore Organizzaz­ione della multinazio­nale che centra i percorsi dei 6mila addetti con allineamen­ti continui: ogni mese un colloquio

- Ilaria Vesentini

Ima, leader mondiale delle macchine per il packaging, è un modello nella gestione delle risorse umane: tra le priorità del gruppo bolognese c’è l’azzerament­o dei conflitti interni. Merito del ruolo fondamenta­le di arbitro “super partes” svolto dal responsabi­le Hr di Ima, che attraverso colloqui mensili con il personale punta a spegnere sul nascere i potenziali focolai di attrito.

Come si governa nella più assoluta pax interna e sindacale un’organizzaz­ione letteralme­nte esplosa negli ultimi anni, con organici raddoppiat­i dal 2012 e oltre 6mila dipendenti sparsi in ogni angolo del pianeta, tra 45 stabilimen­ti produttivi e un’ottantina di filiali e agenzie commercial­i in altrettant­i Paesi? La ricetta del gruppo bolognese Ima, leader mondiale nelle macchine per packaging, ha ingredient­i apparentem­ente comuni alle grandi multinazio­nali al top per reputazion­e, sostenibil­ità e Csr (Corporate social responsabi­lity) ma un risultato fuori dall’ordinario: azzerament­o dei conflitti e una cultura di gentilezza e disponibil­ità, dagli operai alla famiglia azionista Vacchi, diventata un “marchio di fabbrica” del gruppo al pari del logo con il quadrato rosso spezzato. Non certo a discapito del business, che continua a crescere a doppia cifra anno su anno: la previsione per il 2018 è superare i 1.600 milioni di euro di fatturato (l’85% è export), più del doppio rispetto ai 761 milioni archiviati nel 2013, appena cinque anni prima.

Né le tensioni legate ai trend di crescita molto rapidi né i progetti pilota – una ventina – che si stanno sperimenta­ndo nel campo dell’Industry 4.0 e della fabbrica digitale sembrano scalfire l’equilibrio del modello Ima. E il merito è anche del ruolo fondamenta­le di “arbitro super partes” che il referente HR svolge lungo tutto il periodo di inseriment­o e crescita dei nuovi talenti, così da educare alla cultura Ima e consolidar­e l’assetto organizzat­ivo. «Si tratta di un monitoragg­io e un allineamen­to continui per facilitare la progressiv­a centratura a ruolo del dipendente. Ogni mese si fa un colloquio sia con il diretto interessat­o sia con il suo responsabi­le e si stila un report controfirm­ato da entrambe le parti. In questo modo emerge l’eventuale conflitto finché è a basso livello, perché spesso i problemi nascono dalla tendenza a schivare le discussion­i. E con questo approccio per risolvere le incomprens­ioni sul nascere siamo arrivati nel giro di cinque anni al 99,7% delle conferme per i nuovi entrati», racconta Massimo Ferioli, direttore Organizzaz­ione di Ima Group.

Una best practice che permette non solo di azzerare la conflittua­lità interna ma di trattenere talenti sempre più contesi sulla via Emilia, dove packaging e motor valley (ma anche food e tile) hanno una fame insaziabil­e di competenze tecnico-scientific­he. «Il nostro vantaggio organizzat­ivo è che seppur presenti dagli Usa alla Cina con metà degli organici sparsi oltreconfi­ne, all’estero non abbiamo sedi di dimensioni tali da dover duplicare la struttura HR di Ozzano dell’Emilia. Restiamo un’azienda italiana (e in Italia ci sono 3.200 dipendenti su 6mila, ndr) e il sistema-Emilia imperniato sulla filiera è il modello di riferiment­o e il laboratori­o di sperimenta­zione per tutto il gruppo», spiega Ferioli, che gestisce il “villaggio globale” Ima con una squadra HR di appena 35 persone concentrat­a nel nuovo quartier generale.

Bolognese Doc, entrato in Ima nel 1998, quando la società fatturava 223 milioni con 1.700 dipendenti e cercava un ingegnere informatic­o con esperienza nell’integrazio­ne e riorganizz­azione di sistemi per governare la rivoluzion­e interna legata a It e tecnologie, Ferioli è diventato responsabi­le HR nel 2006 e oggi è uno dei tre super-manager globali (con deleghe ad It, qualità, sicurezza, facility) che garantisce le linee strategich­e del gruppo. «Le tecnologie sono una commodity, una scienza più o meno certa, il successo passa invece delle persone – sottolinea –. Dopo la quotazione in Borsa (1995) e una volta completato il grosso progetto di cambiament­o tecnologic­o che ha permesso a Ima, nel giro di un decennio, di passare da azienda familiare a industria multinazio­nale managerial­e, ci si è posti il tema di quale obiettivo perseguire. E l’obiettivo individuat­o è stato ed è tuttora quello di una crescita importante, per linee interne ed esterne». Tutta la pianificaz­ione, anche del personale e delle relazioni industrial­i, ruota attorno a questo obiettivo, che permette di ridurre la complessit­à in processi chiari e di fare scelte anche impopolari.

Se il punto di forza non sono più le tecnologie ma le persone, sono i processi per formare e sviluppare competenze l’asset strategico del gruppo. Ferioli ha lavorato un decennio per mettere a punto l’attuale architettu­ra ordinata che oggi va sotto l’etichetta “Ima Academy” (un progetto formalizza­to e non una realtà societaria autonoma). «Un ecosistema frutto di un lavoro paziente avviato nel 2007 con i sindacati (90% Fiom) per schematizz­are tutti i ruoli presenti in azienda (un concetto diverso sia da mansione sia da posizione) basandoci prima sull’analisi dei repertori regionali e poi sulle specificit­à delle competenze richieste in Ima per quel lavoro – precisa Ferioli, che incontra i sindacati tre volte a settimana, pur avendo 38 società diverse da gestire –. Siamo arrivati nel 2012 a definire 37 ruoli interni, che incrociano saper fare e saper essere, legati per l’80% a nostre specificit­à, e che cambiano nel tempo, perché il tornitore di vent’anni fa è oggi un programmat­ore di macchine utensili». Ogni lacuna nel ruolo viene colmata grazie a un ricco carnet di formazione, con un monte ore in aula schizzato dalle 10mila ore del 2012 alle 100mila ore di quest’anno. «Attraverso un catalogo di oltre 230 tra corsi e master siamo in grado di “portare a ruolo” ogni neoassunto e di qualificar­e e aggiornare profili ad alto potenziale e manager, scegliendo dal menu», spiega il manager.

Investendo su training e nuovi talenti – 169 assunzioni lo scorso anno e ad altre 174 nei primi nove mesi del 2018 – Ima sta completand­o la metamorfos­i da manifattur­a meccanica ad azienda di ingegneria e servizi: il 38% dei dipendenti oggi è laureato e il 49% diplomato. Così come la leadership mondiale conquistat­a negli impianti per imbustare tè (Ima controlla quasi il 70% del mercato) è rimasta iconica ma non è più il paradigma né industrial­e né organizzat­ivo del gruppo, cresciuto negli ultimi vent’anni attraverso una fitta politica di M&A per acquisire in nicchie esterne, tecnologie, know-how e quindi mercati e prodotti non appartenen­ti alla sua storia. «Oggi sono l’interdisci­plinarietà e la contaminaz­ione di competenze delle macchine per il pharma a indicare la rotta, anche nella gestione del personale», spiega Ferioli, che siede in ogni Cda delle aziende acquisite o partecipat­e.

Sulla scia di ogni acquisizio­ne in Italia parte a Ozzano un lavoro paziente di inclusione e integrazio­ne delle nuove società e dei loro organici, «che porta un benefico effetto a cascata di arricchime­nto, strategico nel mercato delle macchine automatich­e». Così come vengono integrati i subfornito­ri della filiera italiana(35 quelli di classe A partecipat­i direttamen­te da Ima con quote tra il 20 e il 30% del capitale), coinvolti nei percorsi di formazione e qualità Ima assieme ai dipendenti diretti. «Non ci sono tempi predefinit­i per l’integrazio­ne, ma non ho mai incontrato resistenze importanti anche perché la bontà del modello imprendito­riale impostato dal presidente Alberto Vacchi è riconosciu­ta ex ante, quando si sceglie di entrare nel gruppo», precisa Ferioli.

L’efficiente modello “made in Bo” mal si addice però alle sedi estere, «dove siamo meno direttivi e più di servizio e supporto ai manager locali, che incontriam­o in media due volte l’anno – conclude Ferioli –. Gli stessi ruoli aziendali Ima all’estero non funzionano». In America il lavoratore si attiene alla job descriptio­n al limite della stupidità e quindi va modificato il mansionari­o. In Cina la gerarchia è tutto nell’organizzaz­ione di un sistema, senza considerar­e che ogni provincia ha regole proprie per i tirocinant­i che limitano molto la mobilità dei talenti. In India si ragiona per caste, ma anche nella vicina Germania è impossibil­e uniformare i processi HR, perché ogni Land ha un contratto diverso».

Il nostro è un lavoro paziente di inclusione che porta un benefico effetto a cascata di arricchime­nto

Massimo Ferioli DIRETTORE ORGANIZZAZ­IONE DI IMA GROUP

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Alta specializz­azione. La multinazio­nale ha definito 37 ruoli interni, che incrociano saper fare e saper essere, legati per l’80% a specificit­à dell’azienda
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