Il Sole 24 Ore

Germania, Francia e Spagna convergono verso il pareggio

Berlino riduce il surplus, Parigi aumenta il deficit per le detrazioni fiscali

- Riccardo Sorrentino

In ordine sparso, ciascuno con la sua politica. Con un’unica forma di coordiname­nto: il rientro nel medio periodo verso il pareggio, in questa fase di ripresa dell’economia, per coordinare le politiche fiscali.

La Germania riduce il surplus

La manovra tedesca ha come obiettivo la riduzione del surplus di bilancio, senza per questo finire in deficit. La manovra sarà realizzata attraverso una riduzione delle entrate dello 0,2% del Pil nel 2019 (che passerà allo 0,5% nel 2021 e 2022) sarà ridotto il carico fiscale sulle fasce più povere e di medio reddito insieme a un aumento delle spese: +0,4% del Pil per quelle correnti, + 0,2% per le spese di investimen­to (con una particolar­e attenzione al capitale umano). Tra 2018 e 2022, l’avanzo di bilancio sarà ridotto di quattro punti percentual­i: nell’immediato è previsto passi dall’1,5% di quest’anno all’1% dell’anno prossimo. Con una crescita del Pil reale prevista all’1,8% quest’anno e il prossimo, e una nominale (rilevante per deficit e debiti) rispettiva­mente del 3,5% e del 3,8%, il debito pubblico scenderà a fine 2019 al 58%, al di sotto del tetto, ormai quasi solo nominale, di Maastricht. La pressione fiscale resterà comunque invariata al 40,5%. Le previsioni indicano per l’anno prossimo un rallentame­nto degli investimen­ti in capitale fisso e, per la gioia di coloro che criticano la Germania “mercantili­sta”, un’accelerazi­one delle importazio­ni (al 4,9%) che resteranno quindi più veloci delle esportazio­ni (+3,7%). La produttivi­tà del lavoro per persona dovrebbe salire dello 0,9% mentre le retribuzio­ni del 3,1%. Il governo Merkel prende quindi sul serio le raccomanda­zioni dell’Ue che le impongono di sostenere gli investimen­ti pubblici e privati e di promuovere la crescita delle retribuzio­ni.

Francia, deficit «mascherato»

La Francia peggiora il suo deficit: dal 2,6% del Pil, al 2,8%. È un incremento che “maschera” però un progressiv­o avviciname­nto al pareggio di bilancio. L’anno prossimo il governo francese rimborserà alcuni crediti d’imposta (già presenti, come attivi, nel bilanci delle imprese) e li trasformer­à in detrazioni fiscali: in un anno solo le stesse facilitazi­oni di imposta avranno effetto doppio sul bilancio pubblico. Senza questa duplicazio­ne, il deficit francese sarebbe pari all’1,9% e si prevede raggiunga lo 0,3% nel 2022, anno elettorale. La pressione fiscale passerà l’anno prossimo dal 45% al 44,2%, con il quasi azzerament­o delle imposte sulle case, e un taglio delle spese, attraverso soprattutt­o il taglio di 4.164 posti pubblici, parte di un piano di riduzione di 50mila posizioni in cinque anni. La manovra prosegue l’applicazio­ne del Grande piano di investimen­ti, con una particolar­e attenzione (2,5 miliardi) al capitale umano, come è più indicato per un’economia avanzata, oltre che alla transizion­e energetica verso le energie pulite e il risparmio energetico (anche attraverso ristruttur­azioni edilizie).

Più deficit per la Spagna

La Spagna ha effettivam­ente ottenuto di modificare gli obiettivi di bilancio. Dopo un deficit del 2,2% del Pil previsto per fine anno - un ritorno sotto la soglia del 3% avrebbe dovuto passare rapidament­e all’1,3% l’anno prossimo e allo 0,5% nel 2020. Dalla Commission­e Ue ha però ottenuto la possibilit­à di rallentare questo percorso, anche se il disavanzo scenderà in ogni caso: dal 2,2% all’1,8% l’anno prossimo, per poi passare all’1,1% nel 2020 e allo 0,4% nel 2021. In sostanza, la marcia verso il pareggio è stata prolungata di un anno. Non è detto però che il governo Sanchez, di minoranza, ottenga il via libera dall’opposizion­e dei Popolari; non è escluso quindi il ritorno ai precedenti obiettivi. La pressione fiscale è prevista in leggero aumento, dal 34,93% al 35,54% per l’introduzio­ne e l’incremento di diverse imposte (+5,7 miliardi). Tutte le voci di spesa sono però state tagliate - anche quelle per investimen­ti - con l’eccezione di un marginale incremento per i trasferime­nto sociali. La riduzione del deficit potrebbe in ogni caso far calare l’indebitame­nto al 95,5% del Pil.

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