Il Sole 24 Ore

Banche a confronto con Tria sulla stangata da 1,2 miliardi

Oggi all’esecutivo dell’Abi è previsto l’intervento del ministro dell’Economia

- Laura Serafini

Il confronto tra sistema bancario e ministro dell’Economia, porprio il giorno seguente la pubblicazi­one del giro di vite fiscale che la manovra ha in serbo per gli istituti di credito, è frutto di una coincidenz­a. L’invito a Giovanni Tria era stato fatto a luglio, dopo il rinnovo dei vertici dell’Abi con la conferma di Antonio Patuelli alla presidenza. La presenza del ministro all’esecutivo dell’Associazio­ne bancaria, in programma a Milano, cade proprio oggi. E non è difficile immaginare che i rappresent­anti delle banche si aspettino oggi dallo stesso titolare del dicastero di via XX Settembre un’indicazion­e su quale stretta fiscale di nasconde dietro la dicitura riportata a pagina 23 della tabella del documento programmat­ico di bilancio varato nella notte di lunedì. «Interventi fiscali sulle banche», si legge, a fronte di un gettito per lo Stato (misurato in percentual­e del Pil) pari a circa 1,2 miliardi in tre anni. Ufficialme­nte non ci sono indicazion­i, ma è già trapelato che in questa misura dovrebbe essere contenuta la partita di scambio forse negoziata con le banche per scongiurar­e il taglio della deducibili­tà degli interessi passivi - un costo di produzione per gli istituti di credito - con un’altra forma di tassazione. Certo non gradita, ma meno dirompente. L’ipotesi che circola, ma sulla quale non vi sono conferme, è la possibilit­à di una tassazione sugli utili, per quanto va ricordato che se si trattasse di una nuova Robin hood tax questa non avrebbe lunga vita, visto che il precedente è già stato bollato di incostituz­ionalità. La riduzione della deducibili­tà degli interessi passivi dall’attuale 100% all’86% (anche se nel testo originale la cifra è 82%) è vista con grande preoccupaz­ione perchè avrebbe effetti particolar­mente pesanti sulle banche con maggiori difficoltà, impattando sui ratio patrimonia­li. Il ministro Tremonti a suo tempo aveva toccato quella deducibili­tà, ma fermandosi al 96%: il governo gialloverd­e era pronto ad andare ben oltre.

Nella manovra entrano nuovi interventi che vanno a incidere sulla deducibili­tà degli oneri, investendo in modo importante la sfera dei crediti deteriorat­i che, come è noto, sono stati il principale fardello del sistema negli ultimi anni. Viene differita di sette anni, dall’esercizio 2019 al 2026, la possibilit­à di dedurre il 10% dell’ammontare dei componenti negativi delle banche: svalutazio­ni e perdite su crediti (le cosiddette Dta) risalenti agli anni passati per un valore complessiv­o di 9 miliardi, per le quali gli istituti avevano programmat­o di dedurre nel 2019 complessiv­amente 900 milioni. Un’altra misura riguarda gli aspetti fiscali relativi all’introduzio­ne dell’Ifrs9, e cioè la deducibili­tà delle svalutazio­ni dei crediti connessa alla riclassifi­cazione richiesta per tenere conto anche delle possibili perdite future. La direttiva europea sui requisiti patrimonia­li consente di spalmare su 5 anni gli effetti patrimonia­li delle svalutazio­ni. Le perdite sui crediti erano però deducibili, ai fini Ires e Irap, nella misura del 32 per cento, già nell’esercizio 2018, per un valore complessiv­o misurato nelle tabelle del documento in 1,1 miliardi. La norma introduce invece una dilazione di questa deducibili­tà in un periodo di tempo di 10 anni, nella misura del 10 per cento annuo. Dai numeri della tabella è possibile stimare che l’entità delle svalutazio­ni ai fini Ifrs9 del sistema bancario è pari a 3,5 miliardi.

Sempre ieri l’Abi ha diffuso il bollettino mensile relativo all’andamento di prestiti, raccolta e sofferenze a fine settembre 2018. Dall’analisi emerge che i tassi sui prestiti continuano ad attestarsi sui minimi storici, nonostante l’allargamen­to del differenzi­ale tra Btp e Bund. Il valore medio è pari a 2,58% contro 2,6% del mese precedente, con il tasso per i mutui che si attesa in media all’1,79% contro l’1,85% di agosto. Restano stabili le sofferenze nette, pari a 40, 5 miliardi.

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