Crediti, l’allarme degli armatori «Perse 60 navi date in garanzia»
Le banche per liberarsi di Npl hanno ceduto crediti delle società armatoriali
Senza interventi puntuali, anche dello Stato, l’armamento italiano con flotte di medie dimensioni, tra le 10 e le 20 navi, per lo più composte da product carrier (per prodotti petroliferi raffinati) e portarinfuse solide, rischia di essere messo in ginocchio. Una sessantina di navi di questo tipo, infatti, sono già uscite dalla flotta italiana. L’allarme arriva da Shipping and the law, il convegno, arrivato alla nona edizione, organizzato annualmente a Napoli dallo studio legale Lauro.
«Nell’ultimo anno e mezzo – ricorda Francesco Saverio Lauro, alla guida dello studio – il sistema bancario, nell’ottica di liberarsi di non performing loans, ha ceduto crediti di società armatoriali italiane, che erano garantiti da circa 60 navi. E almeno altre 60 unità, se non di più, sono già sottoposte a una procedura che può portare queste unità fuori della flotta nazionale. Parlo di sofferenze degli armatori italiani per complessivi 1,6 miliardi di euro che le banche hanno ceduto a fondi d’investimento norvegesi, arabi, inglesi, statunitensi e di altri Paesi, o anche ad altre banche». Così, prosegue Lauro, «a parte alcuni armatori particolarmente solidi, una cospicua fetta della flotta di navi per il trasporto di rinfuse solide e liquide, è andata o sta andando, attraverso la cessione dei crediti, a soggetti che li comprano a forte sconto e, non avendo rapporti di lunga data con gli armatori, non si fanno scrupolo di portare le unità fuori dall’Italia».
Secondo dai dati elaborati dagli armatori, dice Lauro, «intorno a ogni nave ruotano tra equipaggi, impiegati degli uffici, agenzie e servizi, circa 200 addetti, che hanno professionalità molto specifiche: un capitale umano che, una volta perso, diventa irrecuperabile. A prescindere dalle sorti degli armatori, sarebbe importante mantenere in Italia aziende di grande tradizione che, invece, stanno cadendo in balia di speculatori o di fondi esteri». Tra le ipotesi percorribili nell’ottica di far fronte a questa situazione, ha ricordato Lauro, «si può pensare a interventi di Cassa depositi e prestiti o del Fondo infrastrutture, per acquistare una parte di questi crediti e mantenere integra la flotta italiana. Tutelando anche l’investimento dello Stato sulla tonnage tax (il regime forfetario per gli armatori, ndr) e sul Registro navale internazionale, che avevano fatto crescere notevolmente il numero di navi della nostra flotta». Questa proposta è stata avanzata al presidente della Camera, Roberto Fico, presente al convegno.
Secondo il presidente di Confitarma, Mario Mattioli, se si riuscisse a far passare il debito di una società armatoriale «dalla banca a un fondo, in maniera concordata con l’imprenditore, in linea di principio l’azienda dovrebbe rimanere più ancorata al territorio. Se invece si va a finire con fondi che hanno piattaforme di gestione di navi collocate fuori Italia, tutto cambia. Perché certe sofferenze dello shipping possano essere gestite meglio, sarebbe positivo riuscire a creare un Fondo sul trasporto marittimo, come quello per le infrastrutture, che abbia dietro il peso di Cdp e dello Stato italiano. Ci auguriamo che, anche attraverso il presidente Fico, si possa arrivare alla creazione di uno strumento che possa essere di ausilio al sistema dell’armamento italiano».