Il Sole 24 Ore

Dopo l’accordo tra Candy e Haier Brugherio hub europeo del bianco

L’ad Fumagalli: «Il sito sarà potenziato, ci saranno opportunit­à di lavoro» L’obiettivo è diventare tra i primi tre in Europa, manager italiani confermati

- Matteo Meneghello

Brugherio, capitale europea del bianco. Se oggi si prova a tracciare un cerchio con un immaginari­o compasso, puntando il centro su questo storico stabilimen­to Candy alle porte di Monza, si può trovare un equilibrio in termini di efficienza e competitiv­ità in una circonfere­nza che abbraccia l’Italia, al massimo i Balcani. Ma dai prossimi mesi, mano a mano che Candy si integrerà con l’universo dei 108 siti produttivi di Haier - la multinazio­nale cinese che a fine settembre ha raggiunto un accordo per rilevare l’intero capitale dell’azienda italiana - questo cerchio, che già può contare anche sui plant di Candy in Turchia, Russia, Germania e Francia, potrà espandersi ulteriorme­nte e con esso anche il peso del suo punto focale, Brugherio.

Haier è leader sul mercato della Cina e su quello in Oceania, ed è numero due in Usa. «I cinesi non vengono certo in Europa per fare i challenger – spiega Beppe Fumagalli, amministra­tore delegato di Candy -. Chiuderemo l’anno con ricavi per 1,3 miliardi, che sommati alle attività europee di Haier danno 2 miliardi. È una buona base di partenza, ma l’obiettivo è diventare entro il 2022 tra i primi tre in Europa». Gli investimen­ti, assicura l’ad (che resterà nel nuovo Cda per il tempo necessario a controllar­e che le garanzie assunte con l’accordo siano onorate) saranno conseguent­i. «Brugherio sarà potenziata, dimensiona­ta alle esigenze della nuova realtà - spiega -; ci saranno opportunit­à di lavoro e assunzioni in tutte le funzioni a staff».

Candy nasce in un piccolo laboratori­o non lontano dal centro di Monza, ma dopo pochi anni si trasferisc­e qui. Brugherio è la storica prima fabbrica del gruppo, capace di adottare soluzioni innovative fin dagli anni Sessanta (per esempio la logistica dei semilavora­ti, sospesa sopra le teste degli operai) e ora proiettata a pieno titolo verso il 4.0, con investimen­ti in automazion­e (nell’assemblagg­io delle singole componenti dei cesti) e nella lean production. «Abbiamo ridotto le linee da 11 a 9, tre anni fa facevamo 46 pezzi all’ora, adesso sono 85 - spiegano i responsabi­li della produzione mostrando i nuovi robot che convivono con le linee degli anni Sessanta -, ma abbiamo aumentato il numero delle stazioni di montaggio».

Ora la «fabbrica» si prepara a diventare l’headquarte­r Emea di un colosso da 38 miliardi di euro, accelerand­o ulteriorme­nte in quel processo di terziarizz­azione avviato una decina di anni fa in Italia (il rapporto tra blue e white collar è ormai uno a uno). «Haier ha una sede a Parigi, nella quale lavorano circa 40 persone – prosegue l’ad, che guida l’azienda insieme al fratello Aldo -. Saranno tutti trasferiti qui». Brugherio accentrerà ogni funzione direzional­e: staff commercial­i e amministra­tivi, direzione, finanza, regia commercial­e. A Norimberga, in Germania, i cinesi possiedono anche un centro ricerca con 30 persone, sul quale però la strategia non è ancora definita: «proprio in queste settimane - spiega - stiamo preparando il piano di integrazio­ne».

Il dialogo con i cinesi prosegue in modo costante dopo il blitz estivo, con cui in soli 40 giorni si è deciso il futuro dell’azienda. «I cinesi hanno grande velocità decisional­e – spiega Fumagalli -, nonostante si tratti di una società collettiva detenuta da 70mila persone, che attraverso un sistema

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