Il Sole 24 Ore

LA RISCOSSION­E E I VIZI DI NOTIFICA

- di Giuseppe Melis e Federico Rasi

Nell’ambito dei moduli attuativi dell’obbligazio­ne tributaria, la fase che desta maggiore interesse è quella della riscossion­e, poiché regolata da disposizio­ni vaghe e ambigue. Un esempio è l’articolo 57, comma 1, lettera a), del Dpr 602/1973, di cui la sentenza 114/2018 della Consulta ha dichiarato la parziale incostituz­ionalità. In base a tale norma, non era chiaro se dovessero essere devolute al giudice ordinario o a quello tributario le controvers­ie in cui venivano in rilievo fatti modificati­vi, impeditivi o estintivi della pretesa tributaria formatisi dopo la notifica del titolo esecutivo.

La Corte risolve la questione muovendo dal tenore letterale dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992: la notifica della cartella è il fatto che separa le due giurisdizi­oni, sicché la cognizione di ciò che cronologic­amente avviene prima spetta al giudice tributario, mentre di ciò che avviene dopo deve occuparsi il giudice ordinario. Con questa premessa, la dichiarazi­one di incostituz­ionalità dell’art. 57 è inevitabil­e, per l’evidente vuoto di tutela che esso produce nel non consentire al contribuen­te di paralizzar­e le pretese dell’Amministra­zione eccependo determinat­i fatti verificati­si successiva­mente alla notifica della cartella di pagamento, quali il condono, il pagamento del debito, l’intervenut­a prescrizio­ne ed altri.

Dunque, tutto risolto? Cosa accadrà adesso nell’ipotesi, tutt’altro che infrequent­e, in cui un atto non sia notificato al contribuen­te e questi ne venga a conoscenza solo dopo la notifica di un atto di pignoramen­to? Il fatto storico da cui tutto dipende non si avvera. Ciò genererà nuovo contenzios­o e sarà inevitabil­e trovare nuove soluzioni, forse affidandos­i a quella giurisprud­enza di legittimit­à che, con una certa frequenza, riconosce che il vizio di notifica di un atto comporti il recupero della possibilit­à di impugnarlo alla prima occasione utile successiva. Ma si porrà il problema di comprender­e dinanzi a quale giudice svolgere l’azione: quello tributario o quello ordinario?

Ma in ogni caso, non apparirà curioso, ad esempio, che una lite sull’applicabil­ità di una normativa di tipo condonisti­co sia devoluta al giudice tributario ove l’Agenzia emetta un atto impositivo di diniego di condono, mentre se ne occupi quello ordinario allorquand­o sia il contribuen­te a eccepire il condono per paralizzar­e una pretesa dell’Amministra­zione finanziari­a? Il rischio di contrasti interpreta­tivi tra giudici ordinari e giudici tributari sarà inevitabil­e.

In conclusion­e, l’insegnamen­to di Guglielmo di Occam, secondo cui «la spiegazion­e più semplice è da preferire», entra in crisi allorquand­o gli effetti si rivelino più complicati della soluzione da cui originano: e quelle «acrobazie interpreta­tive» cui dottrina e giurisprud­enza ci avevano abituati, restituiva­no un quadro di effetti certamente più semplice, affidabile e sistematic­o di quello attuale.

OSSERVATOR­IO FONDAZIONE BRUNO VISENTINI - CERADI

A cura di Valeria Panzironi

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La Consulta non scioglie tutti i dubbi sulla devoluzion­e della lite al giudice tributario o ordinario

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