LA RISCOSSIONE E I VIZI DI NOTIFICA
Nell’ambito dei moduli attuativi dell’obbligazione tributaria, la fase che desta maggiore interesse è quella della riscossione, poiché regolata da disposizioni vaghe e ambigue. Un esempio è l’articolo 57, comma 1, lettera a), del Dpr 602/1973, di cui la sentenza 114/2018 della Consulta ha dichiarato la parziale incostituzionalità. In base a tale norma, non era chiaro se dovessero essere devolute al giudice ordinario o a quello tributario le controversie in cui venivano in rilievo fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa tributaria formatisi dopo la notifica del titolo esecutivo.
La Corte risolve la questione muovendo dal tenore letterale dell’articolo 2 del Dlgs 546/1992: la notifica della cartella è il fatto che separa le due giurisdizioni, sicché la cognizione di ciò che cronologicamente avviene prima spetta al giudice tributario, mentre di ciò che avviene dopo deve occuparsi il giudice ordinario. Con questa premessa, la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 57 è inevitabile, per l’evidente vuoto di tutela che esso produce nel non consentire al contribuente di paralizzare le pretese dell’Amministrazione eccependo determinati fatti verificatisi successivamente alla notifica della cartella di pagamento, quali il condono, il pagamento del debito, l’intervenuta prescrizione ed altri.
Dunque, tutto risolto? Cosa accadrà adesso nell’ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui un atto non sia notificato al contribuente e questi ne venga a conoscenza solo dopo la notifica di un atto di pignoramento? Il fatto storico da cui tutto dipende non si avvera. Ciò genererà nuovo contenzioso e sarà inevitabile trovare nuove soluzioni, forse affidandosi a quella giurisprudenza di legittimità che, con una certa frequenza, riconosce che il vizio di notifica di un atto comporti il recupero della possibilità di impugnarlo alla prima occasione utile successiva. Ma si porrà il problema di comprendere dinanzi a quale giudice svolgere l’azione: quello tributario o quello ordinario?
Ma in ogni caso, non apparirà curioso, ad esempio, che una lite sull’applicabilità di una normativa di tipo condonistico sia devoluta al giudice tributario ove l’Agenzia emetta un atto impositivo di diniego di condono, mentre se ne occupi quello ordinario allorquando sia il contribuente a eccepire il condono per paralizzare una pretesa dell’Amministrazione finanziaria? Il rischio di contrasti interpretativi tra giudici ordinari e giudici tributari sarà inevitabile.
In conclusione, l’insegnamento di Guglielmo di Occam, secondo cui «la spiegazione più semplice è da preferire», entra in crisi allorquando gli effetti si rivelino più complicati della soluzione da cui originano: e quelle «acrobazie interpretative» cui dottrina e giurisprudenza ci avevano abituati, restituivano un quadro di effetti certamente più semplice, affidabile e sistematico di quello attuale.
OSSERVATORIO FONDAZIONE BRUNO VISENTINI - CERADI
A cura di Valeria Panzironi
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La Consulta non scioglie tutti i dubbi sulla devoluzione della lite al giudice tributario o ordinario