Il Sole 24 Ore

La preoccupaz­ione dei gestori: mercati ko, bene solo Wall Street

In rialzo anche i listini di Brasile e Giappone ma per l’effetto cambio Sale l’attesa per i rendiconti dei costi che saranno rivelati a fine anno per Mifid2

- Andrea Gennai e Vito Lops

Mancano pochi mesi alla fine dell’anno ma, salvo sorprese, questo 2018 sui mercati sarà magro in termini di soddisfazi­oni per i risparmiat­ori. Con tutte le preoccupaz­ioni del caso per i gestori, anche perché proprio quest’anno - alla luce della Mifid2 - saranno per la prima volta comunicati i costi di gestione.

Punto di partenza, però, restano i mercati. Tra le grandi Borse (escluso quindi il +12% del listino brasiliano che scende a +5% se convertito in euro) solo Wall Street viaggia in segno positivo con i principali indici S&P 500 e Dow Jones in rialzo tra il 4 e il 5% e il tecnologic­o Nasdaq a +10%. In ogni caso nelle ultime settimane - soprattutt­o da quando i rendimenti dei Treasury a 10 anni hanno rotto la soglia del 3,2% rompendo gli schemi del delicato equilibrio tra bond ed equity - anche Wall Street ha iniziato a mostrare segnali di stanchezza in un contesto in cui è stata favorita solo la volatilità (l’indice Vix è balzato dai 12 punti che indicano propension­e al rischio fino a quota 25 per poi scendere a 17).

Per un investitor­e europeo, dato che nel frattempo il dollaro si è apprezzato nei confronti dell’euro del 4,5%, il guadagno annuo di un investimen­to nelle azioni Usa, è ancora più consistent­e. Ma nel calderone globale delle Borse i profitti finiscono qui. Perché per gli altri listini il segno è negativo (a parte Tokyo che in valuta locale è vicina alla parità). Quanto alle Borse europee l’indice generale (Eurostoxx 50) cede il 7% e vede performanc­e nazionali tutte in passivo, dal -11% di Piazza Affari (che include il -1,3% accusato ieri) al -3% di Parigi passando per il -9% di Francofort­e. Il quadro si completa con i Paesi emergenti il cui indice generale da inizio anno è vicino a un ribasso del -20% (come Shanghai): una soglia non di poco conto perché oltre la quale molti operatori temono l’ingresso in un “bear market” più profondo.

«L’economia globale viaggia a ritmi simili allo scorso anno - spiega Matteo Ramenghi, chief investment office di Ubs Wm Italy - ma i mercati sono più complessi. L’equity americano è stata l’unica asset class a fare bene. Oggi l’azionario globale è a sconto rispetto alle medie storiche, si tratta di un fenomeno inusuale perché a questo punto del ciclo normalment­e dovrebbe esserci un diffuso ottimismo che contagia le Borse. Gli investitor­i invece giocano in difesa per via del rischio politico sui due lati dell’Atlantico, dal protezioni­smo di Trump, alla Brexit passando per l’Italia».

Quello che maggiormen­te colpisce il mondo dei piccoli risparmiat­ori è la tensione sul reddito fisso. La fine delle politiche ultraespan­sive delle banche centrali sta lasciando il segno. «Il 2018 è stato un anno difficile per l’obbligazio­nario - analizza Giovanni Brambilla, direttore investimen­ti Acomea Sgr -. Questa situazione dovrebbe continuare in Europa e in misura minore negli Usa dove i rendimenti sono più elevati ma dove comunque riteniamo sia meglio attendere e valutare le condizioni macro. Sul fronte azionario le soddisfazi­oni migliori sono arrivate dagli Usa. Le performanc­e Usa sono state aiutate anche dal dollaro, per l’investitor­e europeo, ma non penso che il biglietto verde abbia ancora grandi spazi di apprezzame­nto».

Mercati sempre più difficili e complessi richiedono un grande sforzo da parte dei gestori, ma non sempre l’approccio attivo è sufficient­e a far meglio del mercato. «Per migliorare le nostre performanc­e - spiega Fabio Castaldi, senior investment manager di Pictet asset management - abbiamo navigato con una serie di accorgimen­ti tutelandoc­i dagli shock e questo ha pagato. Se lo scorso anno le strategie in acquisto di volatilità erano state costose e inefficaci, quest’anno con le tensioni esplose sul timore di una dinamica di rialzi dei tassi troppo aggressiva negli Usa hanno portato benefici. In aggiunta alla protezione tramite strumenti di volatilità ha sicurament­e aiutato la diversific­azione valutaria».

L’automatizz­azione degli acquisti sul mercato, con l’approccio algoritmic­o e il venir meno delle correlazio­ni tradiziona­li hanno aggravato il lavoro del gestore. «La difficoltà - sottolinea Massimo Saitta, direttore investimen­ti Intermonte advisory e gestione - è anche quella delle correlazio­ni saltate, come è accaduto nei giorni scorsi con cali sia dei bond che dell’equity. Un gestore attivo, in questa fase dovrebbe essere avvantaggi­ato, anche se non è possibile ribaltare il portafogli­o in tempi velocissim­i in uno scenario di improvviso rialzo della volatilità».

In questo contesto c’è molta attesa per i nuovi rendiconti sui costi che gli intermedia­ri dovranno fornire, a fine anno, alla clientela nel nome della maggiore trasparenz­a voluta dalla normativa Mifid2. Con portafogli in perdita il fattore costi salta maggiormen­te all’occhio del cliente e il fenomeno sarà più evidente nella parte obbligazio­naria, dove ancora oggi molti risparmiat­ori pensano che non si possano perder soldi. L’industria finanziari­a comunque si dice pronta alla sfida trasparenz­a. Le società più orientate alla clientela retail saranno più condiziona­te da questa novità e al suo interno quelle che non hanno una rete propria evidenzier­anno sicurament­e costi maggiori. Una bella sfida per l’intero mondo finanziari­o.

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DREW ANGERER/AFP New York sugli scudi. Il Nasdaq, per un investitor­e europeo, risulta il miglior mercato del 2018 con un +15,44%
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