Il Sole 24 Ore

Di Maio: «manipolato» il testo, no allo scudo per i capitali all’estero

Lega: non sappiamo nulla di trucchi. Il Colle smentisce che il decreto sia arrivato

- Manuela Perrone

Luigi Di Maio sceglie la vetrina di Porta a porta per lanciare l’affondo sul condono previsto nel decreto fiscale, inviso alla base del Movimento già provato dal via libera al Tap. «Nel testo trasmesso alla presidenza della Repubblica, ma non accordato dal Consiglio dei ministri - dice il vicepremie­r M5S - c’è sia lo scudo fiscale per i capitali all’estero sia la non punibilità per chi evade. Noi non scudiamo capitali di corrotti e di mafiosi». Di Maio si smarca, dice di fidarsi di Matteo Salvini e della Lega, ma poi su Instagram è ancora più duro: «Non so se è stata una manina politica o una manina tecnica, in ogni caso domattina (oggi per chi legge, ndr) si deposita subito una denuncia alla Procura della Repubblica perché non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato!».

Ma dal Colle arriva pochi minuti dopo una secca smentita: «Il testo del decreto legge in materia fiscale per la firma del presidente della Repubblica non è ancora pervenuto». Chiaro il sottinteso: per le manipolazi­oni rivolgersi altrove. Di Maio però insiste: «Ai miei uffici risulta che il testo sia andato al Quirinale. Se non è così basta lo stralcio». Della parte non condivisa, s’intende. «Non sarà nemmeno necessario riunire il Consiglio dei ministri».

Il “caso” irrompe nella già difficilis­sima partita della manovra, mentre il premier Giuseppe Conte è a Bruxelles nel tentativo complicato di trovare sponde negli altri Paesi. Ma è il frutto di tensioni tutte interne. A quale manina pensa Di Maio? In tv svicola sugli alleati di Governo: «Non ho ragione di dubitare della Lega perché ci siamo stretti la mano». Ma è a Salvini e ai suoi che si rivolge quando avvisa: «Io questo testo non lo firmo e non andrà al Parlamento». Pesano le proteste degli attivisti, le difficoltà evidenti dei parlamenta­ri a giustifica­re le misure (seppur concordate), lette come un successo a tutto tondo della Lega. Non è un caso che il vicepremie­r abbia tirato in ballo l’ex premier Pd per marcare la differenza senza attaccare direttamen­te i leghisti: «Questo è un condono scudo fiscale come quello che faceva Renzi. Io questo non lo faccio votare». Suscitando l’ovvia replica dell’ex segretario dem: «Di Maio è un uomo disperato. Si è accorto in ritardo di aver dato il via libera a un condono. Prima ha votato il testo del decreto legge, poi ha detto che glielo hanno cambiato e si è rimangiato tutto».

Il Movimento si è reso conto in corsa del prezzo che sarebbe costretto a pagare in termini di consenso, proprio mentre esplode il caso del gasdotto Tap (su cui si prende tempo, consapevol­i però di non potersi permettere le penali da 20 miliardi che scatterebb­ero per lo stop) e infuriano le polemiche in Puglia sul clamoroso dietrofron­t del M5S. E proprio mentre sul decreto Genova è costretto a digerire il rientro in pista di Autostrade per le opere «propedeuti­che» alla ricostruzi­one. Troppo per non reagire in maniera plateale.

Ma la risposta dei vertici della Lega all’attacco di Di Maio è netta: «Noi siamo gente seria e non sappiamo niente di decreti truccati». D’altronde, per Salvini la pace fiscale è il pannicello caldo per far accettare al suo elettorato il reddito di cittadinan­za.

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