Per sciogliere i «nodi» fiscali più peso alla nota integrativa
Secondo le Entrate il contenuto fa fede per affrancare l’avviamento Per i giudici indeducibili gli ammortamenti non giustificati
Nota integrativa sempre più rilevante anche per il fisco. È quanto emerge dalla risposta delle Entrate ad interpello non resa pubblica (si veda «Il Sole 24 Ore» del 12 ottobre).
La risposta, relativa all’affrancamento dell’avviamento in base all’articolo 15 del Dlgs 185/08, riguarda le società che hanno acquisito partecipazioni di controllo, mediante operazioni fiscalmente neutrali o operazioni aventi carattere realizzativo, le quali intendono ottenere il riconoscimento fiscale del maggior valore delle partecipazioni riferibile ad avviamento o altri beni immateriali, purché tale valore emerga dal bilancio consolidato. Tuttavia, nel caso oggetto del quesito, l’avviamento non è iscritto separatamente nello stato patrimoniale perché la partecipazione è valutata con il metodo del patrimonio netto.
A parte la problematica, non ricorrente, è la risposta che riveste particolare interesse: l’Agenzia precisa che la nota integrativa, laddove corredata dai dati che non hanno potuto trovare autonoma collocazione nello stato patrimoniale, consente l’affrancamento dei maggior valori riferiti ad avviamento e altri beni immateriali. La risposta è corretta anzitutto dal punto di vista civilistico: infatti il bilancio, per l’articolo 2423, comma 1, del Codice civile (per bilancio consolidato, articolo 29 del Dlgs 127/91), è costituito da stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa. È pertanto inutile la frase iniziale di alcune note integrative, con cui gli amministratori precisano che «la presente nota integrativa è parte del bilancio» o frasi simili: è la legge che lo stabilisce.
Tornando al problema fiscale, costituisce ulteriore esempio dell’importanza della nota integrativa la sentenza n. 21809/18 della Cassazione, in cui i giudici enfatizzano l’importanza dell’informazione contenuta stessa. Il caso riguarda la svalutazione delle rimanenze, la cui informativa non è contenuta nella nota integrativa, con l’effetto che la svalutazione non è fiscalmente deducibile.
La Cassazione è coerente con il contenuto della precedente sentenza n. 20680/15, che condivide il comportamento dei verificatori, i quali hanno considerato indeducibile parte degli ammortamenti iscritti in bilancio. Gli ammortamenti, seppure ricompresi entro i limiti consentiti dalla norma fiscale, non erano giustificati nella nota integrativa.
Una società, fino al 1998, ha calcolato gli ammortamenti utilizzando metà dell’aliquota fiscale massima prevista dal Dm 31 dicembre 1988: dal 1999, anno coincidente con la cessazione dell’esenzione decennale Irpeg e Ilor, ha utilizzato l’aliquota massima consentita fiscalmente, senza giustificare nella nota integrativa il cambiamento di stima.
L’articolo 2426, n. 2, del Codice civile richiede infatti l’illustrazione, nella nota integrativa, delle eventuali modifiche dei criteri d’ammortamento e dei coefficienti applicati. I principi contabili nazionali Oic 16 e Oic 29, relativi rispettivamente a immobilizzazioni materiali e cambiamenti di stime, illustrano sul piano tecnico la disposizione contenuta nel Codice civile, integrandola con indicazioni operative. Analoghe conclusioni erano già contenute nella sentenza della Cassazione n. 22016/14.
Tutto questo dimostra che un bilancio correttamente redatto può essere di aiuto in caso di contestazioni del fisco, ma anche per ottenere benefici fiscali o di altro tipo.
A tale proposito, la legge per il mercato e la concorrenza n. 124/17 ha introdotto per le imprese l’obbligo di indicare nella nota integrativa le somme superiori a 10mila euro percepite, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni o da società controllate da pubbliche amministrazioni o da società a partecipazione pubblica: il mancato rispetto di tale obbligo comporta la restituzione delle somme, la risoluzione del contratto e la revoca, anche parziale, delle agevolazioni concesse.