Ai fini fiscali i beni donati vanno nella successione
Il trattamento tributario deve conformarsi alla disciplina civile
Anche i beni ricevuti per donazione diretta o indiretta dal defunto, e conferiti (anche per imputazione) agli altri coeredi dai figli, coniuge e discendenti già donatari, - così come prescrive il Codice civile (articolo 737) - concorrono a formare la massa ereditaria e il loro valore non può essere ignorato nella formazione delle quote di diritto, così come nella tassazione dello scioglimento della comunione ereditaria. Il principio è stato enunciato dalla Ctr Lazio sezione III (sentenza 5955/18). Il provvedimento si pone in netta controtendenza rispetto agli orientamenti tenuto tanto dall’Amministrazione (risoluzione 250249/ 87) quanto dalla giurisprudenza (Cassazione 8335/06; 12238/08).
In effetti la questione si incentra tutta sulla possibilità ( o meno) di ritenere rilevante, a fini fiscali, il valore dei beni che figli, discendenti e coniuge del defunto abbiano ricevuto in vita dal medesimo, per donazione diretta o indiretta, e che i medesimi sono tenuti a conferire agli altri eredi, in sede di collazione. Se siffatta è una regola organica al procedimento di formazione delle quote sul piano civilistico, sul versante fiscale si assiste a un anomalo sdoppiamento normativo. L’articolo 34 Tur, infatti, statuisce che «la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore... dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione», dando a intendere, pertanto, che da siffatta massa resterebbero escluso il valore dei beni conferiti in applicazione delle norme civilistiche sulla collazione. Il che crea uno iato iniquo e ingiustificato tra “massa ereditaria” fiscalmente rilevante e “massa ereditaria” civilisticamente rilevante. Sul piano pratico può pertanto accadere come nella fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici tributari laziali - che si ritenga erroneamente sussistente una sperequazione tra la posizione giuridica del coerede/ condividente A e quella del coerede B. Addirittura, ignorare il valore dei beni conferiti e imputati dai coeredi già donatari, estromettendoli dal concetto di “massa ereditaria” sul piano fiscale, può condurre a ritenere esistente una presunta eccedenza del valore della quota assegnata al condividente A rispetto alla massa comune e quindi all’applicazione di un trattamento tributario peggiorativo con riferimento alla parte eccedente. Al contrario, nella fattispecie esaminata dai giudici della Ctr Lazio, era proprio la coerede, già donataria, a essere tenuta al versamento del conguaglio con riferimento ai valori in campo, e non il contrario, e ciò in considerazione del fatto che i beni già donati non erano stati opportunamente valorizzati dall’Ufficio. La Ctr invece ribadisce la necessità della congruenza della prospettiva civilistica con quella fiscale, accedendo a quella che essa definisce «un’interpretazione costituzionalmente orientata» dell’articolo 34 Tur e sottolinea la portata solo “dichiarativa” di un atto di scioglimento della comunione ereditaria laddove a uno dei condividenti venga assegnato l’intero relictum mentre l’altro risulti aver imputato alla propria porzione i beni al medesimo donati