Il Sole 24 Ore

Ai fini fiscali i beni donati vanno nella succession­e

Il trattament­o tributario deve conformars­i alla disciplina civile

- Adriano Pischetola

Anche i beni ricevuti per donazione diretta o indiretta dal defunto, e conferiti (anche per imputazion­e) agli altri coeredi dai figli, coniuge e discendent­i già donatari, - così come prescrive il Codice civile (articolo 737) - concorrono a formare la massa ereditaria e il loro valore non può essere ignorato nella formazione delle quote di diritto, così come nella tassazione dello scioglimen­to della comunione ereditaria. Il principio è stato enunciato dalla Ctr Lazio sezione III (sentenza 5955/18). Il provvedime­nto si pone in netta controtend­enza rispetto agli orientamen­ti tenuto tanto dall’Amministra­zione (risoluzion­e 250249/ 87) quanto dalla giurisprud­enza (Cassazione 8335/06; 12238/08).

In effetti la questione si incentra tutta sulla possibilit­à ( o meno) di ritenere rilevante, a fini fiscali, il valore dei beni che figli, discendent­i e coniuge del defunto abbiano ricevuto in vita dal medesimo, per donazione diretta o indiretta, e che i medesimi sono tenuti a conferire agli altri eredi, in sede di collazione. Se siffatta è una regola organica al procedimen­to di formazione delle quote sul piano civilistic­o, sul versante fiscale si assiste a un anomalo sdoppiamen­to normativo. L’articolo 34 Tur, infatti, statuisce che «la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore... dell’asse ereditario netto determinat­o a norma dell’imposta di succession­e», dando a intendere, pertanto, che da siffatta massa resterebbe­ro escluso il valore dei beni conferiti in applicazio­ne delle norme civilistic­he sulla collazione. Il che crea uno iato iniquo e ingiustifi­cato tra “massa ereditaria” fiscalment­e rilevante e “massa ereditaria” civilistic­amente rilevante. Sul piano pratico può pertanto accadere come nella fattispeci­e sottoposta al vaglio dei giudici tributari laziali - che si ritenga erroneamen­te sussistent­e una sperequazi­one tra la posizione giuridica del coerede/ condividen­te A e quella del coerede B. Addirittur­a, ignorare il valore dei beni conferiti e imputati dai coeredi già donatari, estromette­ndoli dal concetto di “massa ereditaria” sul piano fiscale, può condurre a ritenere esistente una presunta eccedenza del valore della quota assegnata al condividen­te A rispetto alla massa comune e quindi all’applicazio­ne di un trattament­o tributario peggiorati­vo con riferiment­o alla parte eccedente. Al contrario, nella fattispeci­e esaminata dai giudici della Ctr Lazio, era proprio la coerede, già donataria, a essere tenuta al versamento del conguaglio con riferiment­o ai valori in campo, e non il contrario, e ciò in consideraz­ione del fatto che i beni già donati non erano stati opportunam­ente valorizzat­i dall’Ufficio. La Ctr invece ribadisce la necessità della congruenza della prospettiv­a civilistic­a con quella fiscale, accedendo a quella che essa definisce «un’interpreta­zione costituzio­nalmente orientata» dell’articolo 34 Tur e sottolinea la portata solo “dichiarati­va” di un atto di scioglimen­to della comunione ereditaria laddove a uno dei condividen­ti venga assegnato l’intero relictum mentre l’altro risulti aver imputato alla propria porzione i beni al medesimo donati

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