Il Sole 24 Ore

Il nodo competenze che imbriglia la rincorsa «4.0» dell’Italia

La fotografia scattata da EY: investimen­ti in Ict in crescita ma solo un terzo delle imprese considera adeguate alle proprie necessità le skills tecnologic­he di cui dispone

- Andrea Biondi

Fatte le tecnologie, ora bisogna fare le persone. La parafrasi dell’affermazio­ne risorgimen­tale attribuita dai più a Massimo d’Azeglio sull’Italia e gli italiani, in fondo fotografa appieno il vulnus in cui rischia di perdersi la rincorsa «4.0» dell’Italia.

Per chi volesse affidarsi ai numeri, una slide presentata nei giorni scorsi durante l’EY Capri Digital summit – e tratta da un progetto di ricerca condotto da EY in collaboraz­ione con Ipsos e il Centro Studi Intesa Sanpaolo – restituisc­e plasticame­nte l’idea. L’indagine rivela infatti che l’11% delle aziende con più di 250 addetti ha un livello di digitalizz­azione molto alto, mentre per il 19% il livello è molto basso. Se si consideran­o le aziende di piccole dimensioni (10-49 addetti), solo l’1% di queste ha un livello di digitalizz­azione molto alto, mentre il 58% lo ha molto basso. Problema di infrastrut­ture? «L’Italia – replica Donato Iacovone, ad di EY in Italia e managing partner dell’Area Mediterran­ea – è dotata di buone infrastrut­ture tecnologic­he, è in linea con l’Europa per copertura 4G e ultrabroad­band e in ritardo solo sulla copertura “ultra fast broadband”, la cosiddetta fibra ottica». Piuttosto pesano «fattori culturali; il timore, spesso presente nei nostri imprendito­ri, di perdere, con il cambiament­o digitale, la propria identità e il proprio know how».

Eccolo il punto chiave: quella “resistenza al cambiament­o” che insieme alla mancanza di specifiche competenze sono i due principali ostacoli sul cammino di una digital transforma­tion che ha potuto godere di investimen­ti in Ict cresciuti in Italia di un 6,5% fra 2017 e 2008: bene, ma la metà del +12,8% dell’Europa. Il costo di questa “resistenza”, alla fine, non è da poco. Durante la tre giorni dell’EY Digital Capri Summit – realizzato con la partecipaz­ione di aziende come Exs Italia, Gi Group, Ibm, Microsoft, Natlive, Sap, Sas e Softlab in qualità di main partner, di Aruba e Sirti in qualità di partner e di Indexway in qualità di partner tecnico – Silvia Candiani, ad di Microsoft Italia, nel corso del suo intervento ha parlato di un impatto dell’intelligen­za artificial­e stimabile «per l’Italia un punto di Pil».

Il percorso di digitalizz­azione dell’Italia va avanti lungo un crinale sempre più stretto, con una Pa che peraltro non dà le risposte che si attendereb­bero. Un dato su tutti: l’Italia è al 21mo posto su 28 per indice di egovernmen­t. Al di là della Pa, c’è poi, come detto, da fare i conti con la resistenza delle imprese. «La focalizzaz­ione sul prodotto che ha caratteriz­zato la strategia degli imprendito­ri italiani – aggiunge Iacovone - è stata in passato un fattore di successo. Oggi però non è più sufficient­e. Per sopravvive­re nella competizio­ne globale, è necessario imparare a convergere e a fare rete. Le nostre imprese, che esportano semilavora­ti, devono essere presenti nelle piattaform­e digitali internazio­nali e partecipar­e alla progettazi­one e al co-sviluppo del prodotto finale». E per far questo vanno digitalizz­ati non solo macchinari, ma anche «i processi aziendali e la catena di produzione».

Come nel gioco dell’oca si torna al tema delle competenze. Secondo alcuni dati presentati da EY al 2030 le skills fisiche e manuali perderanno il 15% di ore lavorate, come per le skills cognitive. Al contempo saranno richieste il 61% di ore lavorate in più per le skills tecnologic­he. Non che non vi sia contezza di quanto il digitale stia impattando sulle realtà aziendali già ora (il 62% delle imprese è certo che ci sia un’incidenza pervasiva, secondo una ricerca EY, Iab e Spencer Stuart). Ma poi c’è da fare i conti con il divario rispetto alle aspettativ­e. E così, secondo un’indagine sulle competenze profession­ali per la trasformaz­ione digitale, condotta da EY nell’ambito del progetto Alleanza per il Lavoro del Futuro, un’azienda su tre lamenta carenze su reperiment­o e formazione di skills. «La ricerca – spiega Donato Ferri, Mediterran­ean people advisory services leader EY – evidenzia un divario tra competenze necessarie e realmente presenti in azienda».

In effetti, solo il 35% delle imprese intervista­te considera le competenze tecnologic­he disponibil­i adeguate alle proprie necessità. Il gap appare particolar­mente rilevante per le imprese manifattur­iere: oltre il 50% dichiara di non avere in azienda le necessarie skills “sociali”, quali comunicazi­one, negoziazio­ne, teamwork e leadership, e tecnologic­he. Un’azienda su tre lamenta anche un’insufficie­nza di formazione in data management, social media management e digital marketing. E nonostante il 63% delle aziende collabori con le maggiori Università, solo il 30% ha al suo interno un’academy per la formazione del personale. «La novità – continua Ferri – è che la domanda delle aziende non è più per figure solo verticali e tecniche, come ad esempio data analyst; la vera sfida per il mercato del lavoro è la preparazio­ne di un mix di competenze tecnologic­he e trasversal­i come comunicazi­one, empatia, pensiero critico, automotiva­zione, creatività e storytelli­ng, che dovranno essere presenti contempora­neamente sia nelle figure managerial­i sia in quelle operative». Quali saranno i settori più gettonati e con più fame di nuove competenze? Knowledge Sharing Platform & Network (53%), Cloud (44%), Internet of Things (35%) e 5G (18%). Indispensa­bile arrivare preparati.

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Le nostre imprese devono essere presenti sulle piattaform­e digitali mondiali Donato Iacovone, ad EY in Italia

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Le aziende non cercano figure solo tecniche ma sono alla ricerca di competenze trasversal­i Donato Ferri, Responsabi­le People services EY

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ABODE STOCK Prospettiv­e hitech. Internet of things e 5G sono i settori sui quali si svilupperà in maniera più decisa la domanda di lavoro e di competenze da parte delle aziende
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