Il nodo competenze che imbriglia la rincorsa «4.0» dell’Italia
La fotografia scattata da EY: investimenti in Ict in crescita ma solo un terzo delle imprese considera adeguate alle proprie necessità le skills tecnologiche di cui dispone
Fatte le tecnologie, ora bisogna fare le persone. La parafrasi dell’affermazione risorgimentale attribuita dai più a Massimo d’Azeglio sull’Italia e gli italiani, in fondo fotografa appieno il vulnus in cui rischia di perdersi la rincorsa «4.0» dell’Italia.
Per chi volesse affidarsi ai numeri, una slide presentata nei giorni scorsi durante l’EY Capri Digital summit – e tratta da un progetto di ricerca condotto da EY in collaborazione con Ipsos e il Centro Studi Intesa Sanpaolo – restituisce plasticamente l’idea. L’indagine rivela infatti che l’11% delle aziende con più di 250 addetti ha un livello di digitalizzazione molto alto, mentre per il 19% il livello è molto basso. Se si considerano le aziende di piccole dimensioni (10-49 addetti), solo l’1% di queste ha un livello di digitalizzazione molto alto, mentre il 58% lo ha molto basso. Problema di infrastrutture? «L’Italia – replica Donato Iacovone, ad di EY in Italia e managing partner dell’Area Mediterranea – è dotata di buone infrastrutture tecnologiche, è in linea con l’Europa per copertura 4G e ultrabroadband e in ritardo solo sulla copertura “ultra fast broadband”, la cosiddetta fibra ottica». Piuttosto pesano «fattori culturali; il timore, spesso presente nei nostri imprenditori, di perdere, con il cambiamento digitale, la propria identità e il proprio know how».
Eccolo il punto chiave: quella “resistenza al cambiamento” che insieme alla mancanza di specifiche competenze sono i due principali ostacoli sul cammino di una digital transformation che ha potuto godere di investimenti in Ict cresciuti in Italia di un 6,5% fra 2017 e 2008: bene, ma la metà del +12,8% dell’Europa. Il costo di questa “resistenza”, alla fine, non è da poco. Durante la tre giorni dell’EY Digital Capri Summit – realizzato con la partecipazione di aziende come Exs Italia, Gi Group, Ibm, Microsoft, Natlive, Sap, Sas e Softlab in qualità di main partner, di Aruba e Sirti in qualità di partner e di Indexway in qualità di partner tecnico – Silvia Candiani, ad di Microsoft Italia, nel corso del suo intervento ha parlato di un impatto dell’intelligenza artificiale stimabile «per l’Italia un punto di Pil».
Il percorso di digitalizzazione dell’Italia va avanti lungo un crinale sempre più stretto, con una Pa che peraltro non dà le risposte che si attenderebbero. Un dato su tutti: l’Italia è al 21mo posto su 28 per indice di egovernment. Al di là della Pa, c’è poi, come detto, da fare i conti con la resistenza delle imprese. «La focalizzazione sul prodotto che ha caratterizzato la strategia degli imprenditori italiani – aggiunge Iacovone - è stata in passato un fattore di successo. Oggi però non è più sufficiente. Per sopravvivere nella competizione globale, è necessario imparare a convergere e a fare rete. Le nostre imprese, che esportano semilavorati, devono essere presenti nelle piattaforme digitali internazionali e partecipare alla progettazione e al co-sviluppo del prodotto finale». E per far questo vanno digitalizzati non solo macchinari, ma anche «i processi aziendali e la catena di produzione».
Come nel gioco dell’oca si torna al tema delle competenze. Secondo alcuni dati presentati da EY al 2030 le skills fisiche e manuali perderanno il 15% di ore lavorate, come per le skills cognitive. Al contempo saranno richieste il 61% di ore lavorate in più per le skills tecnologiche. Non che non vi sia contezza di quanto il digitale stia impattando sulle realtà aziendali già ora (il 62% delle imprese è certo che ci sia un’incidenza pervasiva, secondo una ricerca EY, Iab e Spencer Stuart). Ma poi c’è da fare i conti con il divario rispetto alle aspettative. E così, secondo un’indagine sulle competenze professionali per la trasformazione digitale, condotta da EY nell’ambito del progetto Alleanza per il Lavoro del Futuro, un’azienda su tre lamenta carenze su reperimento e formazione di skills. «La ricerca – spiega Donato Ferri, Mediterranean people advisory services leader EY – evidenzia un divario tra competenze necessarie e realmente presenti in azienda».
In effetti, solo il 35% delle imprese intervistate considera le competenze tecnologiche disponibili adeguate alle proprie necessità. Il gap appare particolarmente rilevante per le imprese manifatturiere: oltre il 50% dichiara di non avere in azienda le necessarie skills “sociali”, quali comunicazione, negoziazione, teamwork e leadership, e tecnologiche. Un’azienda su tre lamenta anche un’insufficienza di formazione in data management, social media management e digital marketing. E nonostante il 63% delle aziende collabori con le maggiori Università, solo il 30% ha al suo interno un’academy per la formazione del personale. «La novità – continua Ferri – è che la domanda delle aziende non è più per figure solo verticali e tecniche, come ad esempio data analyst; la vera sfida per il mercato del lavoro è la preparazione di un mix di competenze tecnologiche e trasversali come comunicazione, empatia, pensiero critico, automotivazione, creatività e storytelling, che dovranno essere presenti contemporaneamente sia nelle figure manageriali sia in quelle operative». Quali saranno i settori più gettonati e con più fame di nuove competenze? Knowledge Sharing Platform & Network (53%), Cloud (44%), Internet of Things (35%) e 5G (18%). Indispensabile arrivare preparati.
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Le nostre imprese devono essere presenti sulle piattaforme digitali mondiali Donato Iacovone, ad EY in Italia
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Le aziende non cercano figure solo tecniche ma sono alla ricerca di competenze trasversali Donato Ferri, Responsabile People services EY