ELETTORATO VOLATILE GOVERNI PRECARI
Non c’è due senza tre? Chissà. Quella malalingua di Winston Churchill diceva: «Non azzardate previsioni. Lasciatele fare ai competenti che non ne azzeccano una». La Storia ha avuto un’accelerazione incredibile. Un tempo tutto era immobile. Bastava una flessione del Pri perché Ugo La Malfa mandasse tutti quanti a quel paese ed esclamasse l’immancabile “Miserabbili”. Con due b per rafforzare l’ingiuria. Se i socialdemocratici perdevano un punterello, si apriva la crisi ministeriale. Perché Saragat, che leggeva Goethe in tedesco, colpevolizzava il destino cinico e baro. A sua volta la Dc inclinava a dritta o a manca come canna al vento. Alle elezioni del 1972 Almirante sottrae voti alla Dc. E Andreotti si consola squalificandoli come voti in frigorifero scongelati quanto prima. E nasce il governo Andreotti-Malagodi. Mentre nel 1976, dopo il successo del Pci, Andreotti – sempre lui, uomo per tutte le stagioni – dà vita ai due governi di solidarietà nazionale.
La Seconda Repubblica di Silvio Berlusconi ha alti e bassi. Ma è in questi ultimi anni che i protagonisti della politica sono saliti sull’ottovolante. Quando nel 2011 Berlusconi si dimette per eccesso di spread, Mario Monti è salutato come salvatore della Patria. Il presidente Napolitano lo nomina senatore a vita e subito dopo capo del governo. L’uomo è di sicuro un economista di valore. Ma a poco a poco perde smalto e cade nell’oblio dopo che la sua avventura di capo partito fallisce. Enrico Letta compare e scompare in un battibaleno, accompagnato alla porta di Palazzo Chigi dallo “Stai sereno” di Matteo Renzi. A sua volta Renzi, un Napoleon le petit, è passato dagli altari alla polvere in men che non si dica. Aveva l’Italia in mano. E dilapida un patrimonio con il referendum incautamente personalizzato sulla riforma della Costituzione. È stato un re Mida che trasformava in oro tutto ciò che toccava. Nel volgere di poco tempo è diventato un re Mida alla rovescia. Perfino nella sua Firenze ormai si dice: “Renzi chi?”. E Paolo Gentiloni ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità soprattutto perché è stato visto leopardianamente come la quiete dopo la tempesta renziana.
Adesso tocca a Giuseppe Conte. Qui si parrà la sua nobilitate. Davvero dopo Monti e Renzi possiamo dire che non c’è due senza tre? Anche lui, dai suoi critici considerato il vicepresidente dei due vicepresidenti, sarà una meteora? Oggi i partiti dei due sottoscrittori del contratto, i Cinque stelle e la Lega, superano nei sondaggi il 60%. Con la differenza che la Lega da marzo ha pressoché raddoppiato i consensi, mentre il partito di Di Maio ha perso 5 punti. Mentre i sondaggi più recenti li danno entrambi in leggero calo. Con queste premesse, il governo sembrerebbe destinato a durare. Anche perché i due consoli si spalleggiano a vicenda. Chi non ama Salvini, accorda la preferenza a Di Maio e viceversa. Perciò non è credibile che Salvini, forte dei suoi successi, scarichi di qui a poco Di Maio e tenti la carta delle elezioni anticipate. Sempre che Sergio Mattarella non si metta di traverso.
A questo punto tutto dipende dall’andamento dell’economia. Se le ricette del governo non avranno l’effetto che i due consoli si augurano, dagli altari (si fa per dire) alla polvere il passo sarà breve. Se invece lo stellone della Repubblica ancora una volta farà miracoli, questo potrebbe essere un governo di legislatura. Che però difficilmente durerà per l’intero quinquennio previsto dalla Costituzione. Neppure Alcide De Gasperi, che era Alcide De Gasperi, riuscì a tanto.