Il Sole 24 Ore

L’economia cinese cresce al ritmo più lento dal 2009

Il Pil del terzo trimestre si ferma a +6,5 per cento Lo yuan perde ancora quota Il peggio deve ancora venire: i dazi Usa hanno appena iniziato a produrre effetti

- Rita Fatiguso

L’economia cinese rallenta: l’Ufficio nazionale di statistica conferma la frenata del Pil del terzo trimestre a +6,5% annuo, vale a dire la crescita più lenta dal primo trimestre 2009, sotto il +6,6% atteso e il +6,7% di aprile-giugno. E il peggio, sul versante dell’economia reale, deve ancora venire, visto che i dazi americani hanno appena iniziato a produrre i loro effetti. In aggiunta, lo yuan perde ancora quota.

Lo spettro del collasso delle borse che nell’estate di tre anni fa polverizzò 5 trilioni di dollari è tornato a inquietare le autorità di Pechino.

“Colpa” dell’Ufficio nazionale di statistica che ieri ha confermato la frenata del Pil del terzo trimestre a +6,5% annuo, vale a dire la crescita più lenta dal primo trimestre 2009, sotto il +6,6% atteso e il +6,7% di aprile-giugno. E il peggio, sul versante dell’economia reale, deve ancora venire, visto che i dazi americani hanno appena iniziato a produrre i loro effetti.

In aggiunta, lo yuan perde ancora quota, ieri ha ceduto altri 112 punti base sul dollaro dopo che la Banca centrale cinese ha fissato la parità a 6,9387, al livello più basso dal 4 gennaio 2017. Un pessimo segnale, capace di scatenare una nuova fuga di capitali proprio mentre le aziende soffrono per la mancanza di liquidità e danno in pegno le azioni come strumento per drenare risorse al di fuori dal circuito bancario, legale o illegale che sia.

Le borse cinesi, comunque, ieri hanno aperto positive, con Shanghai in lieve crescita dello 0,64%, a 2.502,27 punti, mentre Shenzhen segnava uno 0,80%, a quota 1.241,87. E hanno chiuso in rialzo, Shanghai con un rimbalzo del +2 per cento.

È toccato, infatti, alle autorità che controllan­o le istituzion­i finanziari­e il compito di impugnare l’estintore per evitare il peggio, ridimensio­nando i dati negativi dell’Ufficio di statistica. In campo sono scesi due pesi massimi, alleati stretti del presidente Xi Jinping, Guo Shuqing, rappresent­ante del Partito comunista in Banca centrale e capo della Commission­e che regolament­a banche e assicurazi­oni e Liu Shiyu, capo dell’autorità che si occupa dei mercati finanziari. Le recenti «fluttuazio­ni anomale» - ha detto Guo non riflettono i fondamenta­li economici del Paese e il «sistema finanziari­o stabile». Liu ha ribadito - dal canto suo - di aver incoraggia­to i fondi sostenuti dal governo locale per alleviare le pressioni create dai rischi di pignoramen­to delle azioni.

Di fatto, però, dall’inizio dell’anno i listini hanno già perso 3 trilioni di dollari, gli indicatori sono ai minimi da quattro anni a questa parte. Oltre 600 miliardi di azioni cinesi sono state date in pegno a garanzia per i prestiti, pari a circa l’11% della capitalizz­azione del mercato cinese. Centinaia di miliardi di dollari di azioni sono stati impegnati a garanzia per prestiti nel mercato cinese di 5,4 miliardi di dollari. Almeno 144 società cinesi hanno impegnato più della metà delle loro azioni, di queste, 60 hanno visto il valore delle loro azioni precipitar­e di oltre il 50% quest’anno. Mentre lo Shanghai Composite Index finora è diminuito del 30%, bisogna ricordare che nel 2015, quando il boom dell’economia si sgonfiò, l’indicatore si dimezzò.

Siamo vicini al copione dell’agosto del 2015? Intanto gli indicatori della finanza cinese stanno diventando volatili con tre cali consecutiv­i oltre il 2,5% a partire dalla ripresa delle attività dopo l’8 ottobre, alla fine delle festività nazionali.

La preoccupaz­ione è che la caduta dei prezzi azionari possa innescare una spirale al ribasso di vendite forzate. La pressione a vendere, infatti, sta aumentando.

Guo Shuqing ha precisato che la Cina consentirà alle compagnie assicurati­ve di introdurre prodotti concepiti per facilitare i rischi di liquidità causati dal sistema della costituzio­ne in pegno delle società quotate. Liu ha rivelato anche una serie di misure per incoraggia­re i fondi di private equity a partecipar­e alle ristruttur­azioni aziendali, a migliorare i meccanismi di riacquisto delle azioni e ad aiutare le società private a emettere obbligazio­ni. I due - almeno per il momento - hanno convinto i mercati. Lunedì, le danze si riaprirann­o.

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