Fuga dai BTp I fondi esteri ne vendono altri 17,4 miliardi
Da maggio ad agosto saldo negativo di oltre 66 miliardi. I banchieri di State Street: «Fondi sottoesposti sull’Italia»
Cosa abbia fatto salire lo spread tra BTp e Bund negli ultimi mesi lo certifica (ancora) la Banca d’Italia: è stata la fuga di capitali esteri. Ad agosto, secondo l’ultimo rapporto sulla bilancia dei pagamenti diffuso ieri, gli investitori stranieri hanno infatti «venduto titoli di portafoglio italiani per 17,8 miliardi (di cui 17,4 titoli pubblici)». Sommando i mesi precedenti, il saldo da maggio ad agosto è pesante: il deflusso di capitali è stato complessivamente pari a 66,4 miliardi. Ma il problema è che questa cifra rischia di essere solo la punta di un iceberg di un fenomeno più diffuso. Perché anche gli investitori che non hanno abbandonato l’Italia, in alcuni casi - dietro le quinte - una scappatoia se la stanno creando ugualmente: alcuni di loro hanno infatti sbilanciato l’esposizione sul Paese sui titoli di Stato a breve o brevissima scadenza. Questo offre loro da un lato un’opportunità in termini di rendimento. Ma dall’altro significa anche che se la situazione dovesse peggiorare, potrebbero lasciare scadere i titoli di Stato senza poi comprarne di nuovi. Soprattutto se sono a brevissima scadenza. Tra chi vende ora, chi ha già venduto e chi mantiene questa via di fuga aperta, l’Italia si trova insomma a fronteggiare una forte incertezza sui mercati. E per un Paese che nel 2019 dovrà emettere molti titoli di Stato, non è certo una buona notizia.
BTp, chi vende e chi compra
I numeri parlano chiaro. Oggi gli investitori stranieri hanno in portafoglio circa 650 miliardi di euro di titoli di Stato italiani. Il 27,9% del nostro debito pubblico. Questa percentuale è nettamente calata da quando si è insediato il nuovo Governo. Ad aprile segnala Bankitalia - c’erano infatti 722,2 miliardi di titoli di Stato in mano agli investitori esteri. Il 31,2% del totale. Chi ha assorbito i BTp scaricati dai fondi esteri? Principalmente banche e assicurazioni italiane, la cui esposizione in BTp è salita da aprile in poi di 73,6 miliardi di euro. Ma le istituzioni finanziarie nazionali non potranno continuare a compensare il calo degli acquisti dall’estero all’infinito. Anche perché l’aumento dello spread le penalizza, dato che va ad erodere il loro patrimonio. Equita Sim stima che ogni 100 punti base di spread BTp/ Bund in più vadano a ”mangiare” il capitale di migliore qualità (Cet1) delle banche in media di 38 punti base. Secondo Credit Suisse se lo spread dovesse superare la soglia critica dei 400 punti alcuni istituti dovrebbero addirittura varare aumenti di capitale. E dato che farlo in momenti di volatilità sui mercati è difficile, il rischio è che l’effetto finale del caro-spread sia quello di indurre le banche a chiudere i rubinetti del credito a imprese e famiglie.
Il grande esodo dei fondi esteri
In questo contesto conservare la fiducia dei grandi investitori esteri è vitale. Ma se è vero che alcuni grossi fondi hanno dichiarato pubblicamente di essere tornati a comprare BTp (i rendimenti sono nettamente sopra la media in Europa) la tendenza generale è quella di «sottopesare» l’Italia. Un segnale in questo senso arriva da un’elaborazione fatta da State Street, una delle maggiori banche depositarie al mondo, sulla base dell’immenso portafoglio bond (circa 10mila miliardi di dollari in controvalore) che detiene in custodia per conto dei suoi clienti (banche, assicurazioni, fondi pensione, asset manager ecc.). Dai suoi dati emerge che, a fine settembre, l’esposizione in titoli di Stato italiani da parte dei big mondiali della finanza risultava inferiore alla media storica collocandosi in corrispondenza del 22° percentile. Si tratta del ventiduesimo livello storicamente più basso (in una scala da 1 a 100, dove 100 rappresenta il massimo storico di esposizione ai BTp italiani). «Fino ad aprile gli investitori rappresentati dalla nostra analisi erano sovraesposti sui BTp – spiega Francesco Lomartire, capo di SPDR ETF Italia (gruppo State Street) – poi da metà maggio hanno ridotto drasticamente la loro esposizione».
Le cautele di chi resta
Altri investitori, invece, non hanno venduto BTp. Anche grossi nomi della finanza (da BlackrRosck a JP Morgan Asset Management, da Amundi ai tedeschi di Dws, fino al fondo sovrano Norges) hanno comunicato di non avere ridotto l’esposizione sull’Italia. Il problema è che in alcuni casi pur non vendendo BTp si sono cautelati in altro modo: esponendosi soprattutto sui titoli a breve e brevissima scadenza. L’ha fatto per esempio Dws (si veda intervista sotto). Hsbc consiglia di comprare BoT semestrali per proteggersi dalle turbolenze dei BTp. Ma anche Ubs si sta muovendo in modo in parte simile. «Ubs ha una posizione in sovrappeso sui BTp a 2 anni - spiega Matteo Ramenghi, chief investment officer per l’Italia -. Questo perché vediamo un rischio a mediolungo termine per questa politica fiscale, ma non a corto raggio».
Persino le banche italiane, che negli ultimi mesi hanno compensato in buona parte le vendite internazionali di BTp, hanno seguito una rotta simile: hanno insomma privilegiato i titoli a breve scadenza. Non è un caso che da fine marzo abbiano raddoppiato nei loro bilanci i BoT (titoli di durata massima di un anno), portandoli da 10 miliardi a 20,8 secondo i dati di Bankitalia. Non è un caso che abbiano aumentato del 35% i CTz in bilancio (titoli a due anni). Mentre hanno aumentato proporzionalmente meno i BTp a medio-lungo termine (da 246 a 256 miliardi), che restano comunque maggioritari anche perché rappresentano la quota maggiore del debito pubblico italiano. Questo ha un significato ben preciso: anche chi non ha abbandonato l’Italia protegge in alcuni casi il proprio portafoglio concentrandosi sui titoli più brevi. E potenzialmente lo prepara, dietro le quinte, a un possibile disimpegno “naturale”. Avere titoli a breve termine significa infatti poterli portare a scadenza senza doverli vendere in perdita. Una via di fuga potenziale, insomma. Che forse non verrà mai usata. Ma che non indica grande fiducia...