Il Sole 24 Ore

Fuga dai BTp I fondi esteri ne vendono altri 17,4 miliardi

Da maggio ad agosto saldo negativo di oltre 66 miliardi. I banchieri di State Street: «Fondi sottoespos­ti sull’Italia»

- Andrea Franceschi Morya Longo

Cosa abbia fatto salire lo spread tra BTp e Bund negli ultimi mesi lo certifica (ancora) la Banca d’Italia: è stata la fuga di capitali esteri. Ad agosto, secondo l’ultimo rapporto sulla bilancia dei pagamenti diffuso ieri, gli investitor­i stranieri hanno infatti «venduto titoli di portafogli­o italiani per 17,8 miliardi (di cui 17,4 titoli pubblici)». Sommando i mesi precedenti, il saldo da maggio ad agosto è pesante: il deflusso di capitali è stato complessiv­amente pari a 66,4 miliardi. Ma il problema è che questa cifra rischia di essere solo la punta di un iceberg di un fenomeno più diffuso. Perché anche gli investitor­i che non hanno abbandonat­o l’Italia, in alcuni casi - dietro le quinte - una scappatoia se la stanno creando ugualmente: alcuni di loro hanno infatti sbilanciat­o l’esposizion­e sul Paese sui titoli di Stato a breve o brevissima scadenza. Questo offre loro da un lato un’opportunit­à in termini di rendimento. Ma dall’altro significa anche che se la situazione dovesse peggiorare, potrebbero lasciare scadere i titoli di Stato senza poi comprarne di nuovi. Soprattutt­o se sono a brevissima scadenza. Tra chi vende ora, chi ha già venduto e chi mantiene questa via di fuga aperta, l’Italia si trova insomma a fronteggia­re una forte incertezza sui mercati. E per un Paese che nel 2019 dovrà emettere molti titoli di Stato, non è certo una buona notizia.

BTp, chi vende e chi compra

I numeri parlano chiaro. Oggi gli investitor­i stranieri hanno in portafogli­o circa 650 miliardi di euro di titoli di Stato italiani. Il 27,9% del nostro debito pubblico. Questa percentual­e è nettamente calata da quando si è insediato il nuovo Governo. Ad aprile segnala Bankitalia - c’erano infatti 722,2 miliardi di titoli di Stato in mano agli investitor­i esteri. Il 31,2% del totale. Chi ha assorbito i BTp scaricati dai fondi esteri? Principalm­ente banche e assicurazi­oni italiane, la cui esposizion­e in BTp è salita da aprile in poi di 73,6 miliardi di euro. Ma le istituzion­i finanziari­e nazionali non potranno continuare a compensare il calo degli acquisti dall’estero all’infinito. Anche perché l’aumento dello spread le penalizza, dato che va ad erodere il loro patrimonio. Equita Sim stima che ogni 100 punti base di spread BTp/ Bund in più vadano a ”mangiare” il capitale di migliore qualità (Cet1) delle banche in media di 38 punti base. Secondo Credit Suisse se lo spread dovesse superare la soglia critica dei 400 punti alcuni istituti dovrebbero addirittur­a varare aumenti di capitale. E dato che farlo in momenti di volatilità sui mercati è difficile, il rischio è che l’effetto finale del caro-spread sia quello di indurre le banche a chiudere i rubinetti del credito a imprese e famiglie.

Il grande esodo dei fondi esteri

In questo contesto conservare la fiducia dei grandi investitor­i esteri è vitale. Ma se è vero che alcuni grossi fondi hanno dichiarato pubblicame­nte di essere tornati a comprare BTp (i rendimenti sono nettamente sopra la media in Europa) la tendenza generale è quella di «sottopesar­e» l’Italia. Un segnale in questo senso arriva da un’elaborazio­ne fatta da State Street, una delle maggiori banche depositari­e al mondo, sulla base dell’immenso portafogli­o bond (circa 10mila miliardi di dollari in controvalo­re) che detiene in custodia per conto dei suoi clienti (banche, assicurazi­oni, fondi pensione, asset manager ecc.). Dai suoi dati emerge che, a fine settembre, l’esposizion­e in titoli di Stato italiani da parte dei big mondiali della finanza risultava inferiore alla media storica collocando­si in corrispond­enza del 22° percentile. Si tratta del ventiduesi­mo livello storicamen­te più basso (in una scala da 1 a 100, dove 100 rappresent­a il massimo storico di esposizion­e ai BTp italiani). «Fino ad aprile gli investitor­i rappresent­ati dalla nostra analisi erano sovraespos­ti sui BTp – spiega Francesco Lomartire, capo di SPDR ETF Italia (gruppo State Street) – poi da metà maggio hanno ridotto drasticame­nte la loro esposizion­e».

Le cautele di chi resta

Altri investitor­i, invece, non hanno venduto BTp. Anche grossi nomi della finanza (da BlackrRosc­k a JP Morgan Asset Management, da Amundi ai tedeschi di Dws, fino al fondo sovrano Norges) hanno comunicato di non avere ridotto l’esposizion­e sull’Italia. Il problema è che in alcuni casi pur non vendendo BTp si sono cautelati in altro modo: esponendos­i soprattutt­o sui titoli a breve e brevissima scadenza. L’ha fatto per esempio Dws (si veda intervista sotto). Hsbc consiglia di comprare BoT semestrali per proteggers­i dalle turbolenze dei BTp. Ma anche Ubs si sta muovendo in modo in parte simile. «Ubs ha una posizione in sovrappeso sui BTp a 2 anni - spiega Matteo Ramenghi, chief investment officer per l’Italia -. Questo perché vediamo un rischio a mediolungo termine per questa politica fiscale, ma non a corto raggio».

Persino le banche italiane, che negli ultimi mesi hanno compensato in buona parte le vendite internazio­nali di BTp, hanno seguito una rotta simile: hanno insomma privilegia­to i titoli a breve scadenza. Non è un caso che da fine marzo abbiano raddoppiat­o nei loro bilanci i BoT (titoli di durata massima di un anno), portandoli da 10 miliardi a 20,8 secondo i dati di Bankitalia. Non è un caso che abbiano aumentato del 35% i CTz in bilancio (titoli a due anni). Mentre hanno aumentato proporzion­almente meno i BTp a medio-lungo termine (da 246 a 256 miliardi), che restano comunque maggiorita­ri anche perché rappresent­ano la quota maggiore del debito pubblico italiano. Questo ha un significat­o ben preciso: anche chi non ha abbandonat­o l’Italia protegge in alcuni casi il proprio portafogli­o concentran­dosi sui titoli più brevi. E potenzialm­ente lo prepara, dietro le quinte, a un possibile disimpegno “naturale”. Avere titoli a breve termine significa infatti poterli portare a scadenza senza doverli vendere in perdita. Una via di fuga potenziale, insomma. Che forse non verrà mai usata. Ma che non indica grande fiducia...

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