Abi: «Clima dannoso all’economia, serve dialogo con l’Europa»
Fitch: con downgrade del rating dell’Italia probabile taglio anche per 5 banche
Le parole d’ordine sottintese in questi giorni complicati per le sorti del paese sembrano essere «sangue freddo». Non si può andare dietro alle peripezie di una diatriba politica, ma non si può neanche restare inerti di fronte all’ansia di escalation scattata sui mercati negli ultimi giorni della settimana appena trascorsa. È per questo che il mondo bancario, rimasto sinora in silenzio anche perchè sottotraccia si tesse la tela per limitare l’onda d’urto del giro di vite sugli istituti di credito previsto dalla manovra, ha deciso di prendere posizione. Un monito rispetto al forte rischio che in un clima politico surriscaldato la situazione possa sfuggire di mano proprio mentre il faro di Bruxelles si accendere sui conti italiani. «L’ulteriore crescita dello spread peggiora le prospettive degli equilibri dei conti pubblici e complica le attività produttive tutte e gli investimenti delle famiglie e delle imprese - recita una nota diffusa nella mattinata di ieri dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, proprio mentre lo spread svettava verso quota 340 punti base -. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla ulteriore crescita dello spread e non ci si deve abituare a ciò che spingerebbe l’Italia indietro rispetto alla ripresa. Pertanto auspichiamo un più costruttivo confronto fra Autorità italiane ed europee per superare questo clima dannoso all’economia». Patuelli non perde l’occasione per una citazione colta. Rievoca niente meno che il discorso della Corona che il re, di Sardegna e poi d’Italia, Vittorio Emanuele II fece al parlamento nel gennaio 1859, noto come il «Grido di dolore». Discorso che secondo la storiografia fu redatto da Camillo Benso di Cavour e corretto da Napoleone III. «Il nostro paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei consigli dell’Europa, perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi». Il richiamo al «Grido di dolore» sembra un monito al governo italiano affinchè ricordi il tributo di vite umane e lo sforzo delle diplomazie che tenere unito questo paese ha richiesto in passato e all’Europa, perchè rammenti che la disgregazione non fa la forza. Bruxelles e soprattutto il ministro dell’Economia italiano sono ben consapevoli. In particolare, una cosa sono i posizionamenti politici in vista delle europee e altra cosa sono i fondamentali di un paese. Non a caso la lettera inviata a inizio ottobre da Giovanni Tria alla Commissione chiudeva con l’auspicio che «il dialogo rimanga aperto e costruttivo, tenendo conto delle reali esigenze di cittadini e imprese e del ruolo che svolgono le istituzioni». Una conclusione molto simile alla chiusa della missiva di risposta della Ue al ministro in quei giorni. Al sistema bancario non è sfuggito il fatto che Bruxelles ha contestato lo sforamento a 4 paesi europei, Belgio incluso, e non solo all’Italia e per questo motivo il percorso non può essere la richiesta di una correzione unilaterale della manovra, ma appunto l’avvio di un dialogo. Il nervosismo dei mercati, soprattutto nel momento in cui i leader degli schieramenti politici al governo duellano a distanza fornendo uno spettacolo non esattamente edificante, è comprensibile. Meno lo sono uscite come quella dell’agenzia di rating Fitch di venerdì, in cui si anticipavano gli effetti sulle banche italiane di un downgrade del rating dell’Italia non ancora avvenuto. «L’outlook negativo sul rating a lungo termine di Intesa, UniCredit, Credem, Mediobanca e Bnl riflette la nostra analisi che le banche in questione subirebbero con ogni probabilità un downgrade qualora venisse abbassato il rating sovrano dell’Italia- scrive Fitch -. Un downgrade del rating sovrano non impatterebbe invece direttamente sul rating delle altre banche italiane. Tuttavia i rating potrebbero finire sotto pressione qualora il clima economico dovesse deteriorare e andare a impattare la qualità del loro portafoglio prestito determinando un nuovo aumento di debiti a rischio e peggiori prospettive per la riduzione degli Npl. La combinazione di questi due fattori potrebbe rendere i livelli di capitalizzazione meno adeguati con i loro maggiori livelli di rischio. Inoltre la maggior parte delle banche italiane ha ancora una significativa esposizione al debito sovrano». Leggendo quella nota, il cui effetto sui titoli bancari nazionali appare ovvio, qualcuno ha ricordato iniziative simili delle agenzie di rating durante la crisi dei debiti sovrani in Europa e le inchieste penali (anche per aggiottaggio) che ne sono seguite.