Assemblea Ubi, sì al monistico Soci alla prova del patto unico
Il nuovo consiglio costituito da 15 componenti di cui due terzi indipendenti Fondazioni e azionisti raggiungono un nocciolo duro del 25% del capitale
L’assemblea di Ubi dice sì al cambio della governance. Addio dunque al governo duale adottato fino ad oggi, e via libera invece al sistema monistico
Tutto come previsto: l’assemblea di Ubi dice sì al cambio della governance. Addio dunque al governo duale adottato fino ad oggi, e via libera invece al sistema monistico. I soci approvano la svolta all’unanimità, con un’adesione pari al 99,9% del capitale presente a Bergamo, a conferma della piena volontà dell’azionariato di snellire l’architettura di governo, per renderla più efficiente e in linea con la migliore prassi internazionale. Dal prossimo rinnovo del board, previsto per il prossimo aprile, Ubi avrà un solo Consiglio di Amministrazione costituito da 15 componenti, 5 dei quali faranno parte anche del Comitato per il Controllo sulla Gestione. Due terzi del Consiglio saranno indipendenti, mentre fino a 3 consiglieri saranno tratti dalle liste di minoranza e uno di essi assumerà la presidente del Comitato per il controllo. Si volta pagina, insomma. Merito anche del lavoro portato avanti dal presidente del Consiglio di Sorveglianza, Andrea Moltrasio, che ha curato in prima persona il dossier e ha tenuto il filo con la Bce. Apprezzato dagli investitori, a partire dai grandi fondi, il nuovo assetto di governo rappresenta anche un banco di prova per le diverse anime dell’azionariato dalla banca lombardopiemontese. Che dovranno capire se c’è spazio per trovare una sintesi e presentare una lista unitaria per il nuovo board. La volontà «di superare i localismi c’è, anche perchè nessuno ha voglia di rimanere da solo», spiega uno dei grandi soci della banca. Da una parte c’è il blocco bresciano, accreditato nel suo complesso di un 15% circa del capitale, di cui un 12,5% sindacato e il restante fuori dal patto. Al patto aderisce anzitutto la Fondazione Banca del Monte di Lombardia, con il 3,95%, oltre a una quarantina di famiglie imprenditoriali raccolte sull’asse Brescia, Milano e Pavia: tra queste spiccano i Gussalli Beretta (con l’1% circa), Lucchini, Fidanza, Folonari, Strazzera, Bellini, Polotti, Bianchi, oltre a Cattolica Assicurazioni. Dall’altra sponda c’è il blocco bergamasco, rappresentato dal Patto dei Mille presieduto da Matteo Zanetti, che può contare sul 3% circa del capitale. Al fronte lombardo si aggiunge poi quello piemontese, il cui perno è rappresentato dalla fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo (5,9%), presieduta da Gian Domenico Genta. Nel complesso, tra fondazioni e azionisti storici della banca, le diverse anime dell’ex popolare possono mettere insieme il 25% circa del capitale: non è da escludere che si ragioni attorno all’idea di costruire un patto unitario così da formare quel nocciolo duro che dia stabilità a una banca dove oggi i fondi (che pure non vogliono comandare) hanno la maggioranza del capitale. I dialoghi ancora non sono partiti formalmente, ma nel corso dei prossimi mesi si capirà qualcosa di più. Ieri, incalzati sul tema, i vertici della banca hanno dato la loro disponibilità al rinnovo. «Sarei incoerente a dire di non essere disponibile» a un nuovo mandato «dopo aver detto di essere innamorato» della banca, ha detto Massiah. Insomma, si vedrà. Sotto il profilo gestionale, ieri il manager è intervenuto sul tema dello spread e dei rischi per la banca e il sistema. Per Ubi, ha confermato Massiah, «la strada è molto lunga prima di avere conseguenze veramente significative» sul capitale. Il manager ha posto piuttosto l’attenzione sul possibile impatto dello spread sul funding. Che, è vero, «non è oggi un’emergenza, ma tutti devono essere consapevoli dei meccanismi e delle conseguenze». L’effetto inevitabile di un incremento del costo della raccolta, abbinato al deterioramento delle condizioni patrimoniali, è che si vada verso una stretta all’erogazione del credito. In ultimo, Massiah si è mostrato positivo in vista degli stress test («Mi sembra che il nostro track record non abbia mai deluso, non credo inizieremo adesso») e molto cauto su qualsiasi operazione di consolidamento: interpellato sul tema Mps, Massiah ha detto che «non ci sono dossier aperti» mentre se è vero che la contendibilità degli istituti «c’è assolutamente» in teoria, è anche vero che la probabilità che ciò accada «in questo momento è bassa».