Riforme, crescita, deficit extra nella risposta di Tria alla Ue
Le altre carte: liberalizzazione dei servizi locali, giustizia civile, appalti, semplificazioni
Al deficit tendenziale senza le clausole Iva, che Bruxelles peraltro non considera nelle sue previsioni macroeconomiche, la manovra aggiunge “solo” quattro decimi di indebitamento. Metà di questo spazio serve a finanziare il «piano straordinario» sugli investimenti pubblici chiamato a sostenere il Pil insieme alle «riforme strutturali»: quelle che costano, come il reddito di cittadinanza pensato anche come spinta ai consumi interni, e quelle «a costo zero», dalla giustizia civile agli appalti fino ai nuovi tentativi di liberalizzazione, a partire dai servizi pubblici locali.
Ruota intorno a questi argomenti la lettera con cui domani Roma risponderà alle obiezioni Ue su deficit e crescita messi nel programma 2019. Deficit che «non si tocca», ha ribadito ieri il governo, che continua a orientarsi verso la complicata strada della ”conferma motivata” delle scelte di finanza pubblica assunte con il Documento programmatico di bilancio.
A firmare la risposta sarà il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che ieri ha portato in consiglio dei ministri le bozze della lettera. Visti i temi in discussione, è stata notata l’assenza di Tria dalla conferenza stampa dopo la riunione di governo. E la risposta, fanno sapere da Palazzo Chigi, sarà definita “di concerto” con il premier Conte. Ma sul tavolo dell’Esecutivo i nodi più intricati sono stati portati ieri dal condono fiscale. Mentre sulla risposta alla Ue la linea della “conferma sostanziale” è stata di fatto portata avanti fin qui senza troppi scossoni.
Le controdeduzioni italiane partono dalla frenata della crescita e dall’esigenza di non favorire il raffreddamento con una nuova stretta fiscale. Con un Pil tendenziale previsto in discesa a quota +0,9%, il deficit 2019 sale da solo dallo 0,8% verso l’1,2-1,3%. Lo stop alle clausole Iva, sempre inserite e disinnescate negli ultimi anni, lo porta intorno al 2%.
Parte da qui la manovra proposta dal governo, che sceglie di evitare il taglio al deficit strutturale (-0,6%), chiesto dalle regole Ue, per non subirne l’effetto pro-ciclico. In cambio Roma punta a un piano di investimenti e riforme a cui attribuisce un’accelerazione di crescita dello 0,6% di Pil (dallo 0,9% tendenziale all’1,5% programmatico). Numeri che non convincono Bruxelles, anche per la bocciatura arrivata dall’Upb.
Per modificare le convinzioni Ue l’Italia insisterà sugli effetti potenziali delle riforme che si accompagnano ai fondi aggiuntivi per gli investimenti: nuovo pareggio di bilancio degli enti locali, liberalizzazione dei servizi pubblici, semplificazioni amministrative e del Codice appalti, giustizia civile e fallimenti. Una lista che ha più di un punto di contatto con i piani nazionali di riforma degli anni scorsi. E che ha davanti a sé l’obiettivo titanico di ridurre almeno in parte la distanza fra l’impostazione italiana e i calcoli Ue sul saldo strutturale.